giovedì 3 marzo 2011

A proposito di mattoni, case ecc.

«Nel 1849, compiuti i ventun anni e diventato elettore, ero in grave imbarazzo: dovevo infatti eleggere quindici o venti deputati e, per di più, secondo l'uso francese, dovevo non solo scegliere degli uomini, ma anche optare fra diverse teorie. Mi si proponeva di essere monarchico o repubblicano, democratico o conservatore, socialista o bonapartista: io non ero niente di tutto ciò, e nemmeno niente di niente, e talvolta invidiavo tanta gente convinta che aveva la fortuna di essere qualche cosa. Dopo avere ascoltato le diverse dottrine, dovetti riconoscere che nella mia testa c'era sicuramente una lacuna. Motivi che erano validi per altri non lo erano per me: non riuscivo a capire come in politica ci si potesse decidere sulla base delle proprie preferenze. Tutti quei signori così sicuri di sé costruivano una costituzione alla stessa maniera di una casa, secondo il progetto più bello, più nuovo o più semplice, e ve ne erano parecchi allo studio, palazzo di marchesi, casa di borghesi, alloggio di operai, caserma di militari, falansterio di comunisti e perfino accampamento di selvaggi. Ciascuno diceva del proprio modello: “Ecco la vera dimora dell'uomo, la sola che un uomo di buon senso possa abitare”. Il mio buon senso, invece, mi diceva che l'argomento era debole: i gusti personali non mi sembravano delle autorità. Pensavo che una casa non dovrebbe essere fatta per l'architetto, e nemmeno per se stessa, ma per il proprietario che va ad abitarci. – E domandare l'opinione del proprietario, sottomettere cioè al popolo francese i progetti della sua futura abitazione, era troppo visibilmente una finzione o un inganno: in casi del genere la domanda determina sempre la risposta e, d'altronde, anche se questa risposta fosse stata libera, la Francia non era certo più di me in grado di darla; dieci milioni di ignoranti non fanno un sapiente. Un popolo consultato può, a rigore, dire quale forma di governo gli piaccia, ma non quale sia quella di cui ha bisogno; lo saprà solo al momento in cui la proverà; gli ci vuole del tempo per verificare se la sua casa politica è comoda, solida, capace di resistere alle intemperie, appropriata ai suoi costumi, alle sue occupazioni, al suo carattere, alle sue peculiarità, alle sue impennate».
Hippolyte Taine, Le origini della Francia contemporanea. L'Antico Regime, Adelphi, Milano 1986 a cura di Piero Bertolucci (“Prefazione”, pag. 45-46).

Alla maggioranza relativa degli elettori italiani è piaciuto, per tre volte, Silvio Berlusconi; adesso essa è a buon punto per poter dire se la "casa politica" da lui creata è «comoda, solida, capace di resistere alle intemperie, appropriata ai suoi costumi, al suo carattere, alle sue peculiarità, alle sue impennate». Io direi di sì, soprattutto a quest'ultime.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Io direi di no, mi sembra una casa tipo 3 porcellini, fatta e tenuta in piedi con sputo e soldi. Lo dico con rammarico anche.

sirio59.mm ha detto...

Credo anch' io che la considerino una bellissima casa. Nulla farebbe desistere i suoi adoratori,in assoluto nulla. La malafede con cui, ostinatamente, fingono d' amarlo oggi è anche la stessa che ha costituito tutti i supposti motivi per eleggerlo ciascuna delle volte passate.
Quale indescrivibile meraviglia sarebbe il veder nascere, finalmente, raffinati e competenti architetti di un'opposizione decente e vera!