sabato 5 marzo 2011

Un pur trésor de chair

A W.W. 

Quel Vent a dorloté le couvent aux tours blondes
au point qu'il est encore a mi-côte penché
sur son fleuve aux glouglous de voluptés cachées
Pour fuir le dur Simoun va-t-il céder aux ondes?

Sa muraille impeccable impose le mystère
avec son porche plein d'étoiles en plein jour
et ses ogives d'or d'où tombe un regard lourd
sur les larrons qu'affole un pur trésor de chair

Je suis le pélerin qui lèche en le bois sombre
un peu de lune à l'eau assaisonnée d'écorce
avec la faim brûlée qui l'infini amorce

Et je crie la main en cornet sur la bouche
voici la clef qui trouve ta chasteté farouche
le clef ou pistolet pour te sauver de l'Ombre

Février 1937

F. T. Marinetti, Poesie a Beny, Einaudi, Torino 1971

Quale Vento ha coccolato il convento dalle torri bionde | al punto che è ancora a mezza costa chinato | sul suo fiume dai gluglu di voluttà nascoste | Per sfuggire al duro Simun cederà alle onde? || La sua muraglia impeccabile impone il mistero | con il suo portico pieno di stelle in pieno giorno | e le sue ogive d'oro da dove cade uno sguardo pesante | sui ladroni che fa impazzire un puro tesoro di carne || Io sono il pellegrino che lecca nel bosco scuro | un po' di luna all'acqua condita di scorza | con la fame bruciata che l'infinto innesca || E ti grido con la mano a megafono alla bocca | ecco la chiave che trova la tua castità fiera | la chiave o pistola per salvarti dall'Ombra.
[traduzione di Vera Dridso]

Cara amica,
stasera ho fame e vorrei addentare la tua carne, ma tu non ci sei; allora mordo la mia mano, ma no, non è la stessa cosa. Lo specchio vorrebbe cancellare la mia immagine e proporti qui davanti (o dietro, ovunque da te accerchiato), nel momento in cui due corpi si aprono a se stessi, si concedono, intercedono, commistionano, confondono e non si capisce più quale cosa siamo e si vorrebbe che tutto non avesse fine. Ma la fine ci fu, tra noi, amica, e mi dispiacque perché il nostro fu uno scambio quasi alla pari, senza disavanzo di bilancio. Ciò che mi davi io prendevo e viceversa, mangiare bere dormire, sognare forse, anzi no: certamente. E tutto era esistenza, anche le parole. Parole che non pronunciavamo ma che affidavamo alle pagine di un quaderno improvvisato a diario della nostra muta conversazione, quasi come se la voce ci servisse solo per sospirare. Ci scrivevamo in presenza, telegrafando direttamente sui nostri corpi, messaggi che ancora oggi leggo, come fossero stati tatuati. Per questo mi sovvieni in questo marzo, in questa finta primavera, in questo mese in cui non volevo svegliarmi, ricordi (io che facevo della tua pancia il mio cuscino), quando mi dicesti – Parto, devo andare, la terra mi scivola sotto i piedi e tu non mi appartieni. Eppure credevo tanto di essere tuo, credevo che conoscere una donna volesse dire questo: diventare il suo aggettivo possessivo. Ma la grammatica dell'amore conosce altre regole e io, allora, ero fermo a quelle elementari, a quelle che non conoscono l'astrazione e il linguaggio delle stelle. I segnali dello spazio sono quelli che meglio orientano e  danno l'impressione che l'infinito risieda in un abbraccio che ci sciolga nel tempo e nello spazio e non ci leghi al tempo e allo spazio. E adesso piova pure questo marzo, questa primavera che ci coglie fuori senza ombrello; ci bagni pure, non fa niente: non penseremo certo alle nostre lacrime, ma a un altro tipo d'eau assaisonnée d'ecorce.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

troverò le parole adatte, lo giuro

risponderò all'omaggio dell'Amico e lascerò che a parlare sia la (mia) carne
WW

Anonimo ha detto...

un rimando amoroso, una facezia giocosa :)
fatto
spero ti piaccia
è per Te

http://wildestwoman.wordpress.com/2011/03/06/laissant-le-poete/