mercoledì 3 dicembre 2014

In centro

Era qualche settimana, o forse mese, che non mettevo piede in centro. Due palle il centro, vero. C'è sempre così tanta gente e movimento che sembra non ci sia nessuno e tutto sia immoto.
Entro nel Duomo, c'è uno spiraglio tra code di orientali e occidentali. Giro rapido, giusto per verificare a occhio la solidità delle colonne. E se crollassero? Esco veloce tra due ali di venditori ambulanti sorridenti che mi mostrano la loro mercanzia: acquedeboli tutte stinte, scuola pressionista, e dimolti con in mano una sorta di asta metallica filiforme, che serve a chissà che cosa, per accendere i ceri forse, ma ora me la vendono, quando sono uscito di chiesa?
(Successivamente, una conoscente m'informa che sono attrezzi per farsi i selfie. Miseria come sono indietro, io, come sono avanti, loro)

Dopo aver bevuto da Paszokwski un caffè al retrogusto di sapone, mi sono messo cinque minuti cinque seduto in piazza della Repubblica a guardare uno squarcio d'azzurro che benvenuto si profilava tra numerose nuvole - e con i piedi a scalciare un ostinato piccione con la coda come i capelli di Povia - quando una zingara di età matura, corpulenta, vestita come si vestono le zingare con la gonna lunga colorata, il golfino colorato pure, i ciondoli, i capelli neri raccolti in due trecce lunghe e bisunte, mi s'è parata davanti scuotendo un bicchiere di plastica con dentro qualche moneta, dicendomi che aveva fame, aveva freddo, aveva sonno, aveva che cazzo ne so, puoi darmi qualche spicciolo professore, professore? professore? ché ho l'aria di un professore e non quella di un magnaccia come quello che da qualche parte sorveglia la tua professione gentile signora? No, via, non te lo do lo spicciolo, non ve lo do per principio, almeno sino a quando non rilascerete un regolare scontrino o timbro con cui, dopo, concederete un pass di ventiquattr'ore elemosina free, da stare in pace un giorno senza dover a ogni angolo della città respingere te e le tue colleghe questuanti.
La zingara, accigliata, ha volto lo sguardo altrove alla ricerca di un'altra preda meno dialettica.
Subito, a seguire, è arrivata la sorella giovane, stesso gesto e stesse parole di richiesta. Mi sono alzato soffiando un po' d'aria madonnesca, baritono.

Quando sono in centro mi piace vedere le facce. Non solo quelle, ma questo è un altro discorso, soprattutto a dicembre. Occhiatine veloci, mai insistenti, sempre attente a non mostrare alcun tipo di morbosità, connotate di velata ironia e sorriso a corredo. Ogni tanto, tra un centinaio, almeno una faccia che replica una simile ricerca. Brevi lampi di riconoscimento, tra umani.

Quello che c'è di buono nell'andare di tanto in tanto in centro è scoprire quant'è bello uscirne via. E decentrarsi.

4 commenti:

Sabrina ha detto...

No, ti prego, l'asticella per i selfie no..
Rido.
Non so, io ho rinunciato a cercare, tra i "replicanti", qualcuno che ha caratteristiche umane, soprattutto in dicembre, pur sapendo che qualcuno esiste. Siamo i superstiti, come in "The day after".
Non posso che essere d'accordo sulla conclusione.

Luca Massaro ha detto...

Hanno alzato l'asticella (sic!)

Olympe de Gouges ha detto...

lumpenproletariat

definizione di Marx nel diciotto brumaio:

accanto ad avventurieri corrotti, feccia della borghesia, vi si trovavano vagabondi, soldati in congedo, forzati usciti dal bagno, galeotti evasi, birbe, furfanti, lazzaroni, tagliaborse, ciurmatori, bari, ruffiani tenitori di postriboli, facchini, letterati, sonatori ambulanti, straccivendoli, arrotini, stagnini, accattoni, in una parola, tutta la massa confusa, decomposta, fluttuante, che i francesi chiamano la bohème.

Marx aveva scritto nelle Lotte di classe in Francia: "L'aristocrazia finanziaria, nelle sue forme di guadagno come nei suoi piaceri, non è altro che la riproduzione dei sottoproletariato alla sommità della società borghese".

Luca Massaro ha detto...

Grazie Olympe della preziosa citazione