Una sera, al tramonto, mentre un resto di nuvole sgonfie di pioggia si incorporava al giallo uovo del sole all'orizzonte, Franco Cappa si sospese tra tempo passato e a venire, facendo suo il presente, con contezza, felice senza un perché - e se ne vergognò.
Sapeva che quell'attimo sarebbe durato un secondo, perciò tirò un sospiro di sollievo e si disse: «Tanto passa». E infatti passò.
«Che senso hanno queste fugaci apparizioni della felicità?», si chiese, dandosi immediatamente una risposta: «Nessuno» - e la vergogna lasciò spazio a un sorriso lieve, di autocommiserazione [avrebbe detto qualcuno che lo conosceva, ma siccome dov'era non lo conosceva nessuno, nessuno lo disse, lo dico io, per dovere di cronaca].
Poi successe l'inaudito: qualcuno, alla radio, parlò con dimestichezza del contrappunto. Franco Cappa, lesto, estrasse taccuino e penna dal suo borsetto e prese appunti. E scrisse: «Non ci sono possibilità di essere felici due volte nello stesso modo. Di più: i modi di essere felici andranno via via depotenziandosi nel tempo, poiché ben presto ci accorgiamo dell'impossibilità di essere felici come lo siamo stati la prima volta. È la prima felicità che inganna, perché si fa sempre riferimento a essa per essere felici un'altra volta. Per tale motivo, ogni volta che capita la possibilità di essere felici, ogni volta che felicità si ripresenta, si fa fatica a riconoscerla, perché non sarà mai uguale alla prima nelle forme e nelle modalità».
L'applicazione Play Radio ebbe un blocco anomalo. Franco Cappa smise di prendere appunti e, per non degradare la sensazione appena vissuta a una felicità di terzo grado, si sforzò di non fare paragoni, ed evitò di ricordare certi occhi e il desiderio a esso connesso. Una signora tatuata in leggings e canottiera (bel seno e bel culo) gli passò accanto, ma lui - noncurante - fissò nuovamente lo sguardo verso l'orizzonte: il giallo uovo era diventato una frittata.
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