sabato 12 maggio 2018

Salutatemi i Guermantes

Ho un blocco dello scrittore, a quadretti, carta riciclata e copertina rigida, comprato in un supermercato francese, Casino. Mi ricordo che entrai e il personale di sorveglianza, vestito come i militari di stanza in Afghanistan, mi passò un metal detector tra le gambe e la spia si accese, dunque mi perquisirono notando un'insolita erezione. «Poi mi passa, appena entro», mi giustificai. Loro annuirono, capendo che il feticismo delle merci, alla lunga, sgonfia le palle a tutti, sia a coloro che hanno la possibilità di accedere al credito, sia a coloro che invece si limitano ad annusarle strisciando tra gli scaffali o a sognarle distesi la notte sui marciapiedi sopra cartoni delle scatole dei detersivi che con il loro finto profumo di lavanda allontanano, almeno per una nottata, scarafaggi e tarme. 

C'era una gran folla di persone al reparto cancelleria ultra fornito per l'imminente inizio dell'anno scolastico, genitori e figli che riempivano il carrello di materiale vario, i più seguendo una lista riportata sullo schermo dei cellulari. Avevo scelto il momento peggiore, dunque, per comprare un blocco dello scrittore. Distratto dall'avvenenza di molte madri che facevano a gara nel mostrare tatuaggi e abbronzatura - e la quantità di sguardi che riuscivano a raccogliere determinava in cuor loro la bontà del risultato (e io, come molti, quasi tutti, direi, guardavamo discretamente, credendo di non essere visti e invece le guardate sapevano contare gli sguardi anche quelli, e soprattutto quelli, di schiena) - non sapevo decidere quale blocco avrebbe fatto meglio al caso di un blogger che, dopo anni di schermo e di tastiera, voleva ritornare alla manualità da scrivano, per verificare se la calligrafia sarebbe stata ancora in grado di sostenere flusso di coscienza, annotazione diaristica e invenzione narrativa. 

Come detto in esordio, scelsi un blocco di carta riciclata, a quadretti. Aveva un odore strano, simile al Roquefort. Pagai e, appena uscito, mi sedetti su una panchina davanti alle casse e scrissi qualche frase, forse un verso ispirato dalle clavicole di una signora sulle quali avrei volentieri posato il mento.
Il personale della sorveglianza si avvicinò e mi chiese che cosa stessi facendo. «Le seghe», avrei dovuto rispondere e, invece, mi limitai a dire: «Scrivo». «E che cosa sta scrivendo, ce lo può dire?». «Pensieri». «E chi si crede di essere, Pascal?». Proprio vero: ogni attività che non rientra nei canoni dell'epoca corrente risulta sospetta e quindi avversata dalla Sorveglianza generale. «Ogni attività che si svolge dentro questo Centro commerciale deve essere sottoposta a controllo e verifica¹. Voglia quindi farci fotografare quel che ha testé scritto», disse uno dei vigilanti, il diplomatico. «E se mi opponessi?». «Dovremmo sequestrarle il blocco», replicò l'altro vigilante, il nerboruto. «Facciamo così»: strappai la pagina, la accartocciai, ne feci una pallina che lanciai in aria, più in alto che potei. I vigilanti alzarono gli occhi al cielo e io scattai velocemente verso l'uscita gridando: «Salutatemi i Guermantes».

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¹ «Monitorata» tua sorella.

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