lunedì 27 luglio 2015

Pelligrini di sinistra

C'è un articolo sulle pagine culturali di Repubblica odierna a firma di Luciano Gallino - ripreso da Micromega online - che spiega lo stato dell'arte fallimentare della socialdemocrazia italiana, europea e internazionale. È un'ammissione di resa quella di Gallino; una resa allo strapotere del pensiero “liberale” (liberista)
«la lunga marcia che ha portato il neoliberalismo a conquistare un’egemonia totalitaria sull’economia e la politica dell’intera Europa.»
Egemonia che, per Gallino, prese le mosse nel 1947, in Svizzera, con la fondazione MPS, che faceva capo a intellettuali liberali del calibro di von Hayek, von Mises, Karl Popper, Milton Freedman...
Hanno vinto: dopo la parantesi ventennale del boom economico del dopoguerra ispirato - sia detto all'ingrosso - da una sorta di socialdemocrazia ben temperata (lunga mano dello Stato nell'economia, allargamento e consolidamento del welfare state), dagli anni 70 del secolo scorso a oggi, il liberismo si è diffuso capillarmente, abbattendo persino i muri ritenuti indistruttibili del cosiddetto socialismo reale. E anche in una grande nazione formalmente guidata dal Partito comunista, la Cina, il liberismo è diventato il motore che fa girare l'economia.

Gallino piange: perché quei tromboni dei liberali hanno vinto e noi, poveri socialisti riformisti, non contiamo un cazzo? Anche e soprattutto da un punto di vista accademico? Per esempio: invece di stare a trippa all'aria in una baita vista lago sul Monte Pélerin, con tutti i servizi liberali del caso, tocca accontentarci di una finestra che vede il monte in lontananza, con un golfino sulle spalle perché il vento alpino fa venire la cervicale.
Povero Gallino che ancora crede di metter le redini a quel cavallo pazzo del soggetto automatico. Leggiamo insieme come chiama in causa Gramsci:
«Se uno potesse chiedere a Gramsci come mai le sinistre europee comunque denominate, a cominciare da quelle italiane, sono state travolte senza opporre resistenza dall’offensiva egemonica del neoliberismo partita nel 1947 dal Mont Pélerin, forse risponderebbe «perché non li avete saputi imitare». Al fiume di pubblicazioni volte ad affermare l’idea dei mercati efficienti non avete saputo opporre niente di simile per dimostrare con solidi argomenti che i modelli con cui si vorrebbe comprovare tale idea si fondano su presupposti del tutto inconsistenti.

Inoltre, proseguirebbe Gramsci, dove sono i vostri articoli e libri che rivolgendosi sia agli esperti che ai politici e al largo pubblico si cimentano a provare ogni giorno, con solidi argomenti, la superiorità tecnica, economica, civile, morale della sanità pubblica su quella privata; delle pensioni pubbliche su quelle private, a fronte degli attacchi quotidiani alle prime dei media e dei politici, basati in genere su dati scorretti; dello Stato sulle imprese private per produrre innovazione e sviluppo, oggi come in tutta la seconda metà del Novecento; dell’importanza economica e politica dei beni comuni sull’assurdità delle privatizzazioni?»
Ora, lasciamo perdere il fatto che, in quanto ad articoli e libri gli intellettuali di sinistra non sono certo stati meno prodighi rispetto a quelli neoliberali. Anzi. Il problema della sinistra riformista - e quanto sopra riportato ne è una dimostrazione - è non capire le ragioni del perché il neoliberismo ha vinto. Innanzitutto, perché sono stati più capaci e intuitivi nell'assecondare la natura capitalista, dopo la fine degli anni d'oro del dopoguerra caratterizzati da tassi di crescita che, visti oggi, danno il capogiro. Dipoi perché nell'affrontare le varie crisi e depressioni susseguitesi da allora, i liberisti hanno escogitato delle soluzioni che risolvono temporaneamente il problema centrale del capitalismo, «cioè la sempre minore capacità del capitale di assorbire nella misura necessaria lavoro che crei valore»¹. Quali soluzioni? La creazione senza limiti di capitale fittizio composto dall'aumento esponenziale e dei titoli azionari e dal pozzo senza fondo dei vari debiti pubblici statali.

La situazione di crisi si è spinta così avanti che alcun “solido argomento” riformista potrà invertire la tendenza inesorabile del capitalismo a sbattere la testa contro i propri limiti.

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¹ Ernst Lohoff, Fughe in avanti. Crisi e sviluppo del capitale, (2000), in Lohoff-Trenkle, La discarica del capitale, Mimesis 2014.

2 commenti:

Olympe de Gouges ha detto...

non hanno vinto le idee, quelle liberiste ci sono sempre state, e poi le idee seguono sempre il movimento reale
Gallino farebbe bene a rileggersi, non dico il Capitale, ma almeno il Manifesto
non Gramsci, ma Lenin

lozittito ha detto...

era pur sempre del PSI, il Gallino, non chiederei tanto di più. sempre meglio degli ex PCI

piuttosto ha fatto la muffa questo stupido non relazionare il capitale finanziario con quello industriale, come se le varie branche di valorizzazione fossero totalmente autonome e non correlate