La ministressa Brambilla mi ha fatto ri-pensare al Palio di Siena, ma non per seguirla sulla strada delle sue minime riflessioni. Cerco le massime.
Abito, in linea d'aria, a circa cento chilometri da Siena. Ci sono stato più volte ma non conosco bene alcun senese. So che il Palio è molto vissuto, visceralmente, religiosamente vissuto. Ecco, religiosamente. È qui che andrebbe attaccata tale tradizione, mica pel gioco ch'essa rappresenta. Ma per il rincoglionimento che tale tradizione (come tutte le tradizioni intensamente vissute) reca a chi vi soggiace. Vedere individui, magari anche atei o agnostici, che cantano il te deum, che fanno le benedizioni dei cavalli, che insultano persone delle contrade avverse solo per il fatto di appartenere a contrade avverse, che vanno alle messe propiziatorie, che battezzano i propri figli coi colori delle proprie contrade, che si sposano coi gagliardetti delle stesse, tutto ciò dà forza e vitalità alla città, non lo nego, ma fa restare i suoi cittadini dentro degli schemi mentali a circuito chiuso. Sì, poi magari possono essere anche famosi premi nobel, o scienziati, o luminari della medicina, o cantanti famosi, insigni giuristi, o facoltosi finanzieri, o rettori universitari. Non importa. Chi sottrae, anche per un minuto, la libertà del pensiero per sottometterla alla prigione del religioso è, per ciò stesso, individuo che si prostra all'orgia del rituale, per cercare nel sacro il ritorno alle origini belluine, per ritrovare la chiusura mentale che rassicura e rinforza di fronte allo smarrimento della scomparsa del divino tra noi. Parlo da profano, parlo, direte, come uno che non può sapere perché non ha mai vissuto il Palio (o altre manifestazioni analoghe) e non può sapere, non può dire, come osa lui. ma cosa vuole questo qui, ci lasci in pace, non chiediamo niente, non guardateci, non diffondeteci, fateci stare dentro le nostre mura ben protette, lasciateci i nostri animali per adorarli e per ridiventare, a nostra vostra, animali dentro un rodeo, un'arena, un recinto sacrale dentro il quale tutto è possibile anche che si scateni la belva e che essa riabbia, finalmente, legittimità.
Le tradizioni “religiose” di qualsiasi tipo, concedo, rinsaldano la comunità, fanno tornare tutti fratelli, fanno sentire ognuno uguale all'altro, tutti stronzi allo stesso livello. Beata la terra che non ha bisogno di tradizioni, altro che di eroi.
2 commenti:
Sarebbe interessante sapere se le tradizioni, proprio in quanto "rinsaldano la comunità, fanno tornare tutti fratelli, fanno sentire ognuno uguale all'altro, tutti stronzi allo stesso livello", forniscono alla popolazione interessata un vantaggio evolutivo.
Per parte mia dico si, credo di si. Proprio per questo le comunità che si nutrono di tradizioni sono quelle che resistono meglio all'usura del tempo. Ma questo non comporta un "miglioramento" evolutivo della specie umana.
È nel discioglimento delle tradizioni che non conosce diaspora che, a mio avviso, si prefigura il Figlio dell'Uomo, il destino dell'Uomo tout court. Affrancarsi dalla schiavitù del simbolico, riappropriarsene. E di questo il cattolicesimo, che ha al suo interno il motore desacralizzante per eccellenza, non tiene abbastanza conto. O meglio: ne tiene conto, ma per respingerlo data la paura di dissolversi a sua volta.
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