«[Emma e Léon] Tornarono a Yonville costeggiando il fiume. Nella buona stagione la sponda era più larga e scopriva sino alla base i muriccioli dei giardini, da cui si partivano scale di pochi gradini scendenti verso l'acqua. Questa scorreva senza rumore, rapida e fredda a vedersi, grandi erbe sottili si curvavano, tutte insieme, con la corrente, sotto quella limpidezza da cristallo si sparpagliavano come capigliature sciolte. Qualche volta, sulle cime dei giunchi o sulla foglie delle ninfee, si vedevano insetti dalle esili zampette camminare o posarsi. Il sole attraversava con un raggio le piccole bolle azzurre delle onde che si succedevano frangendosi; i vecchi salici spogli riflettevano sull'acqua le loro scorze grigie; sull'altra sponda, era tutto un vuoto di prati. Era l'ora del pasto nelle fattorie, e, camminando, la giovane donna e il suo compagno udivano soltanto il rumore regolare dei loro passi sulla terra del sentiero, le parole che pronunciavano, il fruscio della gonna di Emma.
I muri dei giardini, irti alla sommità di cocci di bottiglia, eran caldi come le vetrate di una serra. Tra i mattoni eran spuntate delle violacciocche, e, passando, la signora Bovary faceva cadere in polvere gialla qualcuno dei fiori appassiti, urtandolo con l'orlo dell'ombrellino aperto; oppure qualche ramoscello di caprifoglio e di clematide sporgente in fuori strisciava sulla seta, s'impigliava nelle frange».
Gustave Flaubert, Madame Bovary, [traduzione di Oreste Del Buono, ed. Garzanti, Milano 1965]
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Eugenio Montale, Ossi di seppia
2 commenti:
Interessante.
Ma ci sei inciampato sopra?
No, per fortuna; altrimenti avrei rischiato di ferirmi (sui cocci aguzzi, intendo).
:-)
Scherzi a parte, per me leggere è l'equivalente del pescare: ha volte tiro fuori ottime trote fario.
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