sabato 2 aprile 2011

Dio che Passione


Oggi pomeriggio ho preso, di Hans Blumenberg, La Passione secondo Matteo, Il Mulino, Bologna 1992 (traduzione di Carlo Gentili; ed. or. Matthäuspassion, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Mein, 1988). Ho letto l'ultimo capitolo: Gli eccessi di Dio dei filosofi. Tutto quello che segue, in questo post, è scaturito da tale lettura. Speriamo di non dire troppe sciocchezze.

«La potenza di un Dio, in qualsiasi momento venga considerata o “provata” o anche soltanto asserita, sembra essere grande al punto che essa non può in quel momento essere immaginata più grande».

Ecco: pensare la parola Dio equivale a “immaginare” un Ente di cui non può essere immaginato qualcosa di maggiore (Anselmo d'Aosta). D'accordo, però il punto è che nella storia dell'umanità si sono succeduti vari dèi. 
Ma quando nacque l'idea di Dio? Nel passaggio dall'ominide all'uomo. Dio nacque nell'interstizio dell'ominazione, apparve solo quando il cervello cominciò a formulare immagini, e il dito pollice opponibile per farsi le seghe. Lucean le stelle all'alba dell'umanità. Dio era un vagabondo, apparve a cose già fatte checché se ne dica. In fondo che ci stava a fare un Dio ai tempi del Big Bang per poi aspettare svariati miliardi di anni per parlare a qualcuno?

«Nel mito tutto ciò viene rappresentato e messo in risalto in una storia che ha la sua fine esattamente nel modo in cui termina quando viene narrata. Per il Dio che trionfa per ultimo esiste tuttavia la minaccia di un altro Dio che potrebbe essergli superiore, così come egli stesso era stato l'ultimo più grande in una serie di dèi di volta in volta più grandi. Ciò che val la pena di sottolineare parlando di queste minacce, è che l'ultimo trionfatore sa difendersene tempestivamente e legittimamente, presentandosi in tal modo come il non più superabile».

Dio un tempo esisteva. Dio c'era, si affacciava dalla finestra del cielo, chiamava qualche umano in disparte e gli comunicava qualcosa.
Adesso – a parte a qualche burlone scalcagnato ex giornalista del tg4 – Dio non appare più a nessuno. Insomma, Dio non c'è più, è morto – e noi l'abbiamo ucciso, circa un secolo fa, come annunciò Nietzsche nel suo celebre Aforisma 125 della Gaia Scienza. E infatti, dopo tale uccisione, il secolo breve del Novecento ha portato con sé molteplici catastrofi interamente provocate da mano umana (anch'esse catastrofi naturali, essendo uomo parte integrante della natura, ma questo è un altro discorso). Comunque sia: catastrofi che avevano in sé il germe dell'invenzione, della premeditazione, dell'incidente. E poi, orfani di Dio, ci siamo affidati, nel Novecento, a grandi figure carismatiche, sorta di veri e propri dèi in terra, che incarnavano, tutti, l'idea di uomini della Provvidenza. Mussolini, Hitler, Stalin, Mao Zedong... Berlusconi, tutti fenomeni che sono sorti proprio in virtù della morte di Dio. Con un Dio vivo, anche a mezzo servizio, questi condottieri non si sarebbero insediati nelle stanze del Potere. Il punto è che, una volta morto Dio, c'è stata una corsa frenetica che ha consentito ad alcuni individui di diventare (agli occhi di altri ingenui nostalgici di Dio) degli dèi quasi immortali, quasi invincibili, quasi onnipossenti. Contrariamente alle previsioni nietzschiane, la morte di Dio non ha portato alla nascita di una popolazione di Übermenschen (Superuomini) in grado di sopportare alla scomparsa di Dio. Così, privati di un trascendente, molti occidentali si sono rifugiati nell'amore verso il proprio Duce, o Führer, o Segretario di Partito, o Presidente Più Amato. È chiaro che un Dio morto non è più operativo; ma il ricordo del suo immenso potere – sulla luce e sulla notte, sull'acqua e sul fuoco, sul caldo e sul freddo – è ancora vivo per i bisognosi di protezione surrettizia da parte del Dio Padre.
Tutto questo è normale: fa parte della genealogia e dell'evoluzione dell'idea divina. Il problema vero dettato dalla Modernità è credere che qualcuno possa veramente uccidere Dio. Ma

«nessuno può uccidere Dio, quand'anche egli si lasciasse uccidere. Che egli si lasci uccidere, è l'evento più sacro della storia cristiana della salvezza. Ma “storia della salvezza”, sebbene non più cristiana, è anche che Dio debba cedere all'Übermensch se questi deve poter in generale diventarlo. E questa sembra ancora la conseguenza del primo comdandamento del Sinai, che cioè quel Dio geloso non tollera alcun Dio straniero accanto a sé. Il risultato dell'avergli ubbidito, la rinuncia a Baal e al vitello d'oro, è solo una delle due alternative; l'altra è pur sempre quella del mito, per cui il Dio più antico deve cedere al nuovo . Portato all'eccesso, ciò significa ora che Dio, in quanto Dio defunto, deve cedere all'uomo in quanto nascente essere universale, in quanto colui che risponde dell'eterno ritorno. […] In quanto successore di questo Dio nella generazione, l'uomo si sentiva sufficientemente sicuro perché a nessun altro era destinata la sua azione. La morte di Dio apriva la strada all'assoluta fiducia di sé dell'uomo. Ma la strada liberata restava vuota».

Ma come scriveva E. M. Cioran, «Le destin historique del l'homme est de mener l'idée de Dieu jusqu'à sa fin».
«Portare l'idea fino alla fine di chi?». Dell'uomo, forse.
Dall'ominide all'uomo; dall'uomo al Superuomo; dal Superuomo allo Stronzo. 
Per salire bisogna scendere sulla scala dell'evoluzione.

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