giovedì 21 aprile 2011

Una chiamata internazionale

"«È sempre più sviluppato il contatto tra le genti», afferma Girard al telefono da Stanford, la città californiana in cui vive da molti anni e nella quale ha sede l´università dove ha insegnato più a lungo. «Persino l´isolazionismo statunitense cede il passo ad aperture nuove nei confronti di luoghi distanti ed economicamente fragili. Gli americani, che prima non si curavano di vicende lontane da loro, si stanno interessando come non mai alle rivolte che sconvolgono gli assetti dei paesi arabi. Basta guardare lo spazio enorme che ha dato la tivù statunitense a quel che è accaduto in Egitto, in Tunisia, in Siria, in Libia e nello Yemen», segnala Girard. A 88 anni la sua voce è incerta e faticata; ma sulla questione araba si esprime in modo vigoroso, quasi martellante".
René Girard ha rilasciato un'intervista telefonica a Leonetta Bentivoglio su la Repubblica di oggi (ancora non online sul sito, reperibile qui)
Meno male che oggigiorno le chiamate internazionali costano poco perché, onestamente, l'intervista non sa di una sega*. Mi si scusi il termine, ma da girardiano (eterodosso) quale sono, mi dispiace un po' che il mio René venga tirato per la giacca a dire la sua ogni qualvolta ci sono subbugli "storici", dall'undici settembre alla rivolta egiziana.
E poi perché da anni ho in serbo per Girard una domanda confusa che so che non potrò mai fargli direttamente (anche perché non ho il suo numero) che è, più o meno, questa (che ogni volta rimastico in maniera diversa): al netto che Gesù è davvero il capro espiatorio che ha rivelato le cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, ovvero il meccanismo vittimario su cui si regge ogni società/comunità umana, ovvero il religioso, la nascita del mito e del rito, al netto di tutto questo che possiamo attingere da una pacifica anche se non pacificata riflessione intorno al potere de-mistificante della scrittura giudaico-cristiana rispetto a tutte le altre scritture religiose e mitologiche, mi può spiegare M. Girard le rôle de Dieu in tutto questo? Che Dio sarebbe quello che ha inscenato tutto il palcoscenico del mondo per vedere recitare un'intera specie di esseri pensanti, nella loro faticosa ricerca di costruire una società basata sulla fratellanza, l'uguaglianza, la libertà? Se il mondo va in questa direzione a prezzo di fatica, dolore, miseria, e soprattutto morte, morte fottutissima morte, è in vista di che cosa? Dell'epilogo finale in cui verremo giudicati per che cosa? Per aver vissuto in un pianetino minuscolo di una galassia periferica? E tutto questo spreco interstellare per vederci vivere? E tutta questa magnifica complicazione evolutiva del dna, della complessità assoluta nel frammento, tutta questa vertigine, ma perché? Ma soprattutto: M. Girard come fa lei di fronte a tutto ciò a dichiararsi ancora cattolico ortodosso? Le viene facile perché abita in California? La capisco, in California, forse, sarei cattolico ortodosso anch'io. Pare offrano lauti brunch nelle chiese californiane la domenica mattina.

*Unica cosa per me significativa dell'intervista è che vengo a sapere (dato che non sono più nel milieu bibliografico) che è stato tradotto in francese il famoso testo di Raymund SchwagerBrauchen wir einen Sündenbock? (e dato che io non mastico il tedesco...)

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