sabato 16 luglio 2011

Soffrire non serve a niente

«Perché dimentichiamo i morti? Perché non ci servono più.
Un triste o un malato lo dimentichiamo - respingiamo - in ragione della sua inservibilità psichica o fisica.
Nessuno mai si abbandonerà in te, se non ci vedrà il suo tornaconto.
E tu? Credo di essermi abbandonato una volta disinteressatamente. Quindi non debbo piangere se ho perduto l'oggetto di quell'abbandono. Non sarei più stato disinteressato, in questo caso.
Eppure, a vedere quanto si soffre, il sacrificio è contro natura. O superiore alle mie forze. Non posso non piangere. E piangere è cedere al mondo, è riconoscere che si cercava il tornaconto.
C'è qualcuno che rinuncia pur potendo avere? Questa carità non è altro che l'ideale dell'impotenza.
E allora, basta con la virtuosa indignazione. Se avessi avuto denti e astuzia avrei raccolto io la preda.
Ma questo non toglie che la croce del deluso, del fallito, del vinto - di me - sia atroce a portare. Dopotutto il più famoso crocefisso era un dio: né deluso né fallito né vinto. Eppure con tutta la sua potenza, ha gridato "Eli". Ma poi si è ripreso, e ha trionfato, e lo sapeva prima. A questo patto chi non vorrebbe la crocefissione? 
Tanti sono morti disperati. e questi hanno sofferto più di Cristo.
Ma la grande, la tremenda verità è questa: soffrire non serve a niente.»

Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino 1952 (28 novembre 1937).

Stasera sono indisposto. Di vita. Ho bevuto allora. Buoni bicchieri di rosso sangue di terra. Si chiamava Fornace e mi ha attraversato. Sono così stordito, e brillo che a stento trovo i tasti della tastiera. Ma pigio lo stesso perché sento salire il calore della terra. A volte il vino è così traditore che ti fa credere di essere eterno. È un attimo, principesco. Canti qualsiasi cosa ti venga in mente. E socchiudi gli occhi in cerca di un sogno particolare, quello preciso che ti rende inevitabilmente infelice al mattino perché non è vero. Ma ora sento che viene a raccontarmi una storia: ma pretende il letto e l'oscurità. Buonanotte.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Pavese scrive bene e ti fa sentire cose che altrimenti non riusciresti a capire. Ma anche tu non scherzi. L'essere inebriato dal vino che tu definisci "sangue di terra" descritto come lo descrivi tu alla tua maniera col tuo stile fa riflettere e fare un paragone sulle diverse reazioni sulle persone, ma che a differenza di altri, forse non avrai bevuto troppo, a te lascia molta lucidità e t'influenza solo aumentandoti la stanchezza. Comunque, come al solito, stimoli la curiosità di leggerti, sempre.
Ania

Notizie del Futuro ha detto...

In musica si potrebbe esprimere con la "sinfonia dei topi" degli Afterhours...