Sulla
Siria so quello che più o meno sanno tutti (di quei non so quanti
che ogni tanto buttano un occhio fuori della propria ombra). Che al
potere c'era (e c'è) un regime autoritario con al governo un partito
unico, di natura dinastica. Simpatie, nessuna; e con favore salutai i
primi accenni di rivolta del popolo siriano che reclamava pluralismo
e libertà, fenomeno oramai rubricato dalla storia e che passa sotto la
voce Primavera araba. Come molti,
auspicavo insomma una rapida deposizione del despota in
favore di un regime democratico e plurale.
Iniziò
la guerra civile, Assad contrappose subito l'artiglieria pesante
contro i primi accenni di rivolta. Caddero le bombe sulle città e,
quindi, sul popolo. Furono probabilmente persino utilizzate le armi
chimiche. La gente iniziò a sfollare e si rifugiò nei primi campi
profughi ammassati lungo i confini con la Turchia e il Libano. La
comunità internazionale (Francia, Gran Bretagna e USA in testa)
ammoniva Assad e minacciava un intervento militare e intanto
finanziava e armava le truppe ribelli. Una grande portaerei americana
era già pronta, dal Golfo Persico, a sferrare l'attacco. Solo i
russi (e forse i cinesi se non ricordo male) ponevano il veto. Si
arrivò, dopo alcune settimane, a un accordo: affinché le
truppe occidentali non sferrassero l'attacco aereo sulla Siria, il
regime siriano doveva sbarazzarsi delle armi chimiche. Armi
che, infatti, furono sequestrate sotto l'egida dell'Onu. Durante
tutta questa tiritera non passava giorno che le città siriane non
subissero bombardamenti o attentati. Intanto cominciava a prendere
evidenza di che pasta era fatta la ribellione: le truppe cosiddette
“laiche” e occidentali erano state di gran lunga sopravanzate
dalle più organizzate e meglio armate (e finanziate – dalla
Rabbia Saudita e dalla Turchia in testa) truppe di quello
che sarà chiamato, di lì a poco, il Califfato. La comunità
occidentale sbigottita ebbe un repentino ripensamento: Assad è uno
stronzo, ma questi ribelli islamici lo sono ancor di più. Indietro
tutta? Mai ammettere le proprie cazzate: è l'assunto principale dei
leader delle democrazie occidentali.
E così,
di giorno in giorno, di mese in mese, di stagione in anno, la
situazione in Siria è infognata in uno stallo all'apparenza
inestricabile, con Assad che resiste trincerato in una parte di
territorio che ancora a fatica controlla; mentre le fazioni ribelli
islamiche (Al Nusra El Qazza, El Daesh Is not Dixan) sono
riuscite a conquistare una buona metà della Siria imponendo la
Sciaria e la Pazzia fondamentalista.
In
questo traccheggio in cui si sprecano mitragliamenti, bombe,
esecuzioni sottraenti più che sommarie, la gran parte della
popolazione fugge; una gran parte della gran parte si è ammassata al
confine con la Turchia e da anni vive ricolma di tribolazioni; e,
infine, una piccola parte della gran parte tenta la via di fuga verso
Europa.
Questa
la situazione a grandi pennellate d'inchiostro telematico che ogni tanto mi
va di utilizzar così, scrivendomi un editoriale maison.
Soprattutto
per fare una domanda che faccio a me per darmi una risposta, perché
se mi faccio una domanda so sempre cosa rispondermi, sennò cosa mi
domando a fare?
La
domanda è: se questa milionata di persone, anziché siriane, fossero
state europee o americane, le si sarebbe lasciate vivere in queste
condizioni così a lungo senza prendersi la concreta briga di
risolvere la loro questione “esistenziale”? Oh, certo: la
coscienza è in pace quando si mette in moto la farraginosa macchina
degli aiuti umanitari: un ospedale da campo frutto di donazione di
occidentali di buon cuore non si nega a nessuno. Ma ripeto: se
anziché siriani già prima in condizioni di pace lontani
dalla quota mondo occidentale, fossero depauperati e deprivati di
tutto lo stesso numero di cittadini europei o americani, quelli delle
ferie forzate ad agosto, quelli della spesa al supermercato, quelli
dello smartphone e quelli dello stadio alla domenica, quelli delle
tasse da pagare e quelli che in buona sostanza fanno girare
l'economia, la reazione dei potentati sarebbe la medesima?
Indifferenza ragazzi, lasciamoli crepare in pace, tanto non se ne
accorge nessuno?
La
domanda, seppur logorroica, non è oziosa a par mio, magari lo fosse,
giacché io amo l'ozio. Il mio timore, insomma, è che ritorni in
auge: anzi, che sia in auge l'idea temibilissima e mostruosa che
una certa parte di umanità possa essere comunque
sacrificata perché inessenziale, superflua, ridondante. Un'umanità della quale ci si può anche fottere perché non lavora, non spara, non consuma e soprattutto non produce. Un'umanità a perdere nella discarica del capitale.