lunedì 30 maggio 2016

Popolare per davvero 3


Quello che non ho mai capito - che non ho mai voluto capire perché non gliel'ho mai chiesto né ho indagato chiedendolo agli altri colleghi - è come le sia saltato in mente di chiedere a me tale favore, a me, collega col quale non solo non era in confidenza, ma al quale non aveva mai rivolto parola o sguardo amichevole, niente.


E il bello fu che io non le dissi nemmeno di «no, ma che dici, sei scema?», niente. La calamita dei suoi occhi m'impediva ogni via di fuga o di contrarietà. Balbettai soltanto un misero, «anche volessi, non saprei come», parole che lei giustamente intese come un possibile assenso ai suoi nefasti propositi.

«Non ti preoccupare sul ‘come’: l'importante per me è che tu non escluda del tutto la possibilità di farmi questo favore. Ne riparleremo. Per ora mi raccomando: acqua in bocca», disse, appoggiando i polpastrelli dell'indice e del medio sulle mie labbra.

Avevano uno strano sapore.


***
La sera a casa ero inquieto (è un classico). Né la televisione, né internet riuscivano a distrarmi dalla richiesta, o favore, come l'aveva chiamato.
Favore una sega. 
«E se me la facessi?» pensai, «forse potrei distrarmi e magari, dopo, dormire».
Macché. Quando ho un pensiero fisso non riesco a masturbarmi. Non ce la faccio. È un residuo dei sensi di colpa che da ragazzo mi facevo quando i pensieri fissi erano più frequenti di adesso e quando, anziché i video come ausilio, da guardare c'erano i giornalini. Quanti me ne sono passati tra le mani. Ahimè, se li avessi conservati, chissà, forse avrebbero un valore al mercato dell'usato. Invece niente, appena avevo un pensiero fisso, via, li buttavo tutti. Ma il problema era che, quando ero ragazzo, nella mia città non c'erano i cassonetti e la raccolta dei rifiuti era manuale, porta a porta: la mattina i miei depositavano fuori della porta il sacco della spazzatura e, di lì a poco, il camion della nettezza sarebbe passato a prelevarlo. Se i sacchi erano due avrebbero destato sospetti dei netturbini, i quali senz'altro avrebbero indagato. E scoperto. E detto a mio padre. E mio padre non mi avrebbe detto niente, ma avrebbe indagato dove tenevo i giornalini e se li sarebbe presi lui. Così, affinché mio padre non si masturbasse, i giornalini li buttavo via lungo la strada, in dirupi scoscesi, dove soltanto qualche volpe o scoiattolo avrebbero potuto leggerli. Un giorno accadde che, mentre li lanciavo dal motorino, dietro di me comparve una pattuglia di forestali. Cazzo. Volevano portarmi in caserma e chiamare mio padre. Li implorai, piangendo, che non l'avrei più fatto, che era la prima volta, che... «Prima volta una sega», disse la guardia, aprendo il portabagagli e mostrandomi la pila di giornalini stracciati raccolti. Per fortuna la mia disperazione ebbe la meglio. Mi lasciarono andare strappandomi la solenne promessa di rispettare l'ambiente. 
La settimana dopo chiesi i soldi a mia madre per iscrivermi alla Lipu.

1 commento:

Marino Voglio ha detto...

ottimo..!

(adesso, se permetti un consiglio: fai scaldare donrodrigo e buttalo dentro; vedrai come ti decolla il plot)