venerdì 6 gennaio 2017

Il messo (17)

[mi mancano due personaggi per completare il quadro delle presentazioni. Due personaggi, due donne. Dove le pesco? Donde le traggo? Dalla realtà? Quale realtà?
Questa storia è scritta su un filo: da una parte c'è la realtà, dall'altra la finzione. Il problema è che io non sono tanto bravo come equilibrista e spesso cado, un piede qua, un piede là e il filo nel mezzo, tipo tanga.
Inoltre, non sono poi tanto sicuro che finzione e realtà siano l'una il contrario dell'altra. A volte la realtà è così finta e, viceversa, la finzione così reale, vera... o meglio: verosimile.
Insomma, restano due donne per chiudere il giro e, probabilmente, iniziarne un altro.
Orbene, quali donne prendere a prestito dalla realtà, ovvero dalla finzione?]

La vita da gemelli è abbastanza facile da immaginare, per chi gemello non è. Fra i gemelli c'è chi, senza dubbio, non potrebbe vivere un solo istante senza la vicinanza del fratello; e chi, invece, potrebbe eccome per avere l'esclusiva delle cure e attenzioni parentali, senza avere accanto qualcuno che gliele contende.
Carla e Marta appartengono a quest'ultima categoria. Sorelle gemelle, dizigoti, Marta fu la prima ad uscire dal ventre materno e a guardarle se ne potrebbe congetturare la ragione: alta almeno dieci centimetri più della sorella, più entrante, estroversa, una bella donna dai bei gomiti. Carla, il contrario; ma non per questo meno affascinante. Anzi. Bastava parlarci un attimo per preferire invitare lei a cena anziché la sorella (fatto salvo che a Marta avresti sicuramente offerto prima un caffè).
Chiaramente fu Marta a introdurre la loro storia e a esporre le ragioni per cui erano lì. Quando avevano sei anni, i genitori si separarono. «Che cosa vuol dire amichevolmente mamma», chiese Carla alla mamma. «Che io e quello stronzo di tuo padre non abbiamo litigato». Ecco. E, infatti, fu affido condiviso. Un finesettimana a testa. Prima la nuova fidanzata del padre. Poi il nuovo amico della madre. «Due palle gemelle», pensavano le bambine senza, purtroppo – dato il loro carattere e la mancata complicità –, solidarizzare. Non stavano bene insieme, ma vi erano costrette. Anche a scuola, infatti, avrebbero dovuto fare sezioni diverse, ma proprio quell'anno – causa pochi iscritti – fu fatta solo una prima. E così cinque anni di elementari nella stessa classe. E così alle medie, dato che entrambe volevano frequentare l'unica sezione musicale dell'istituto e nessuna era disposta a rinunciare. Altri tre anni di contiguità che, per loro fortuna, s'interruppe alle superiori: iscritte entrambe all'Istituto Alberghiero, ebbero tuttavia l'opportunità di frequentare sezioni diverse, in base al diverso grado di specializzazione prescelto (Marta nel settore cucina, Carla in quello sala-bar).
Dopo il diploma, la comune volontà di rendersi indipendenti dalla famiglia e di allontanarsi l'una dall'altra, le portarono ognuna a cercare lavoro lontano da casa. Lavori stagionali svolti in stazioni balneari o di montagna. Trascorsero così un paio d'anni senza farsi ombra e presero persino il gusto di telefonarsi di tanto in tanto per dirsi come stavano, raccontarsi quello che facevano. Un giorno, Marta rivelò alla sorella di aver conosciuto un “ragazzo”, un aiuto cuoco, con il quale era nata un'amicizia piuttosto profonda; Carla fece altrettanto, dicendo alla sorella che un suo collega le aveva chiesto di trascorrere alcuni giorni di vacanza insieme e quanto sarebbe stato bello – aggiunse lei alla sorella – se avessero potuto organizzarsi per ritrovarsi coi rispettivi fidanzati, così da presentarsi e conoscersi.
Detto fatto: tre settimane dopo erano nella hall di un albergo con spa annessa di Aosta e che stupore fu scoprire che i due ragazzi erano fratelli, tuttavia non gemelli, per quanto si assomigliassero così tanto che chiunque li avrebbe ritenuti tali. Nati uno un anno a distanza dell'altro, avevano avuto un percorso di studio prima e lavorativo poi analogo a quello delle gemelle. Soltanto, una volta lontani l'uno dall'altro, non avevano l'abitudine di chiamarsi spesso se non per farsi gli auguri di compleanno, per questo non sapevano pressoché niente della loro rispettiva vita sentimentale. E se la cosa fu per loro divertente, per le sorelle, invece, non lo fu per niente perché subito subodorarono che tale coincidenza le avrebbe necessariamente riavvicinate più di quanto loro stesse desideravano. E così fu, infatti. Quando i fratelli, forti di una cospicua eredità da parte di una lontana zia, ebbero l'idea di rilevare un agriturismo in Chianti per farlo diventare una sorta di relais, per loro fu evidente proporre a Carla e Marta di seguirli nel progetto che avevano in animo di realizzare.

«Ecco – concluse Carla – la ragione per cui siamo qui è capire. Capire se facciamo bene ad accettare oppure no; capire se stare vicine ci possa allontanare definitivamente, ovvero se per seguire chi amiamo, potremmo correre il rischio che per vent'anni abbiamo schivato e, sembrava, risolto: odiare noi stesse, definitivamente».

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