Il principio supremo di Kant, il criterio per giudicare tutte le altre massime etiche, è quello che egli chiama "il supremo imperativo categorico". A prima vista, questo imperativo sembra una versione agghindata a festa della vecchia regola aurea.
Regola aurea: "Fa' agli altri quello che vorresti che gli altri facessero a te".
Supremo imperativo categorico: "Agisci in modo che la tua volontà possa istituire una legislazione universale".
Certamente, l'interpretazione di Kant suona decisamente più fredda. Il nome stesso "supremo imperativo categorico" suona, be', tedesco. Ma qui Kant non poteva farci niente: era tedesco.
Eppure, l'imperativo categorico e la regola aurea condividono parecchio dello stesso territorio filosofico:
- Non sono regole che riguardano una specifica azione, come "Onora il padre e la madre" o "Mangia gli spinaci che hai nel piatto".
- Invece, entrambi forniscono un principio astratto in base a cui determinare quali azioni specifiche siano giuste e quali sbagliate.
- In entrambi i casi, questo principio astratto chiama in causa l'idea che tutte le persone abbiano valore quanto voi e me, e così dovrebbero essere trattate moralmente alla stessa stregua di voi e me... in particolare di me.
Un sadico è un masochista che segue la regola aurea.
Nell'infliggere dolore agli altri il masochista fa soltanto quello che richiede la regola aurea: fare quello che vorrebbe fosse fatto a lui, preferibilmente con una frusta. Ma Kant direbbe che in nessun modo il masochista potrebbe sostenere onestamente che l'imperativo categorico "infliggere dolore agli altri" sia una legge universale per un mondo vivibile. Perfino un masochista lo troverebbe irragionevole.
Considerazioni simili portarono il drammaturgo inglese George Bernard Shaw a riscrivere ironicamente la regola aurea:
"Non fare agli altri quello che vorresti gli altri facessero a te: potrebbero avere gusti diversi."
Thomas Cathcart e Daniel Klein, Platone e l'ornitorinco, Rizzoli, Milano, 2007, pagg. 88-89.
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