Stasera, dopo un'ottima panzanella e l'ultima mezz'ora di Transformers. La vendetta del caduto, (le battaglie fantascientifiche, di solito, mi aiutano a digerire la cipolla; se poi offrono, sporadicamente, battute come questa: «Viene da chiedersi: se Dio ci ha fatti a sua immagine... lui chi l'ha fatto?» digerisco anche il cetriolo), mi son messo a sfogliare, insieme a una tazza d'orzo, La persuasione e la rettorica di Carlo Michelstaedter (del quale quest'anno ricorre il centenario della morte). Leggo:
«Finché l'uomo vive, egli è qui, – e là è il mondo, finché egli vive vuole possederlo, finché egli vive, in qualche modo s'afferma: dà e chiede, entra nel giro delle relazioni – ed è sempre lui qui e là il mondo diverso da lui. Ma di fronte a ciò che era per lui una data relazione, nella quale affermandosi egli chiedeva di continuare, ora egli deve affermarsi non per continuare, deve amarlo non perché esso è: deve darsi tutto ad esso tutto per averlo: poiché in esso egli non vede una relazione particolare ma tutto il mondo, e di fronte a questo egli non è la sua fame, il suo torpore, il suo bisogno d'affetto, il suo qualunque bisogno, ma egli è tutto: poiché in quell'ultimo presente deve aver tutto e dar tutto: esser persuaso e persuadere, avere nel possesso del mondo il possesso di sé stesso – esser uno egli e il mondo. –
Egli si deve sentire nel deserto fra l'offrirsi delle relazioni particolari, poiché in nessuna di queste egli può affermarsi tutto: ma in ogni cosa che queste relazioni gli offra[no] egli deve amare la vita di questa e non usar della relazione: affermarsi senza chiedere. – Ma la sua vita non è quello che questa cosa crede giusto per sé, non deve chiederlo alle cose e farsi istrumento della loro qualunque richiesta, – ché essendo giusto all'una sarebbe ingiusto all'altra: ripeterebbe la contingenza delle loro coscienze – ma deve egli stesso volerle, egli stesso crearle, amare in loro tutto sé stesso, e comunicando il valore individuale, identificarsi.¹»
Quanto letto, mi ha fatto tornare in mente che, alcuni giorni fa, in un commento a un mio post a lui dedicato, Luigi Castaldi ha scritto:
«Ogni tanto mi prende una grande nostalgia della scrittura privata, dell'infinita libertà che avevo prima di aprire un blog. Allora devo fermarmi, chiudermi in me, scrivere un bel po' di roba che non si può postare».
Ieri, in un commento-risposta (la seconda “rata”) a una mia lettera aperta a lui indirizzata, Giulio Mozzi ha scritto:
«Credo che la letteratura sia un’attività relazionale. Ossia credo che quando produciamo “qualcosa di scritto”, lo facciamo per entrare in relazione con qualcuno [...] E, certamente, quando vedo uno scrittore (o un altro artista) che comincia a fare la “vita da star” (ossia: a sottrarsi alla vita relazionale ordinaria), mi viene il sospetto che qualcosa di essenziale sia andato perduto».
Precisando subito che nemmeno minimamente sospetto che Luigi possa «fare la “vita da star”» o che egli si sottragga «alla vita relazionale ordinaria», vorrei chiedergli quanto “fermarsi, chiudersi in sé” per dedicarsi ad una scrittura “privata” possa conciliarsi con l'idea di «infinita libertà». Vorrei chiedergli, ma forse è meglio lasciare che le risposte si compiano nella relazione, nella corrispondenza, nella produzione di post essenziali prima che qualcosa vada perduto.
¹Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, Adelphi, Milano 1995 (pag. 43-44).
2 commenti:
Potere della parola.
C'è differenza tra parola e pensiero?
In principio non era il verbo: così si può parolare. E' possibile tornare a quegli inizi, o la parolazione ci ha irrimediabilmente trasformati, come una seconda nascita, per cui indietro non si può tornare senza morire?
ho letto i due post
propendo per la visione di Malvino...
mai veramente "nudi" se ci rivolgiamo ad altri
(non hai mai avuto un diario personale?)
WW
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