domenica 10 giugno 2012

Cellulare Ceronetti


Dispiace leggere Ceronetti quando scrive pezzi così.
E lo dico con profonda amarezza, io, che dai diciotto ai trenta scelsi lui come bussola per la navigazione nel mondo della cultura.
Avevo bisogno di un maestro che a scuola non avevo trovato, un maestro lontano e inconsapevole di esserlo, per imparare - sarebbe meglio dire imitare - desideri che si confacevano, credo, alla mia indole di teatrante dei sensibili.
Mi domando se sono cambiato io o è cambiato Ceronetti. La prima che ho detto è cosa più probabile.
Certo è che non capisco come un diciottenne, oggi, leggendolo, possa rimanerne affascinato. Io non lo sarei, ma adesso non ho più diciott'anni e meno voglia/desiderio di leggere qualcuno che mi aiuti a giudicare il mondo. Non perché mi senta abbastanza giudice da emettere sentenze inappellabili, sulle quali incancrenirmi e dire al mondo: ho ragione io e io soltanto. No. Il punto è che sono talmente sfiduciato, talmente privo di coriacee convinzioni e fedi, che non riesco a farmi paladino di niente e mi assurgo soltanto al vizio socratico di sapere di non sapere - rinnovato, magistralmente nel Novecento - dall'Osso montaliano del 
Codesto solo oggi possiamo dirti, 

ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
E io sul telefonino non ho un cazzo da dire, e se lo avessi e anche di simile a quello ceronettiano, mi guarderei bene dal dirlo, perché mi sembrerebbe di dire alcunché di rilevante, altro se non un giudizio inacidito, inadatto, e privo di significanza.

Il Ceronetti migliore, a mio avviso, è quello che si esercita nel trovare i guasti degli stereotipi linguistici che colpiscono la lingua italiana. Io mi ricordo perfettamente alcune sue battaglie, tipo quella al «niente» ad inizio frase, che si suole dire tra parlanti. Per es:
- Allora, come è andata la giornata?

- Niente... tutto bene, sole ma non troppo caldo...
mostrando meravigliosamente che, chi utilizza il niente ad inizio frase, denota appunto il niente del suo dire, anticipandolo, solo che non si ferma al niente e continua con il suo niente.
Oppure anche la battaglia contro lo smodato uso della parola problema, quando la lingua italiana contempla per essa almeno una trentina di sinonimi il cui utilizzo sarebbe molto più appropriato e calzante, per così lasciare il problema ai veri problemi filosofici ed esistenziali.

Quello, per dire, è il Ceronetti che ho amato di più e che apprezzo ancora. Adesso, che egli abbia comprato un cellulare di vecchio tipo che utilizzerà come un salvavita beghelli e che, di contro, scriva
«Lo smartphone è un baratro senza fondo in cui l'Utente (l'essere, l'anima umana), una volta catturato, precipita senza fine.»
mi fa pensare che chi precipita sia lui, giacché l'Utente (altra parola da lui un tempo redarguita) se non avesse lo smartphone di baratri in cui precipitare li troverebbe sempre, come in fondo capitava quand'essi ancora non c'erano.

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