domenica 31 luglio 2011

I borghesi son tutti dei porci


Riflettendo a margine (molto a margine) di questo post di Olympe de Gouge

Nelle cicliche situazioni di crisi in cui precipitano le civiltà, crisi che sconvolgono il sistema, che provocano drammatici squilibri e fanno aumentare la soglia di miseria e disagio sociale, la classe dirigente non sa mai bene che cosa fare (o forse lo sa benissimo ma non vuole farlo) per porre un freno alla caduta verso il baratro.
Solo dopo, solo a disastro avvenuto essa prende in considerazione che si poteva (e doveva) fare di più, che sono stati compiuti degli errori di valutazione, che è mancato il coraggio di una politica lungimirante, eccetera.
Questo è comprensivo e anche – in un certo senso – assolutorio, quando la catastrofe è provocata da particolari ed eccezionali “eventi naturali” di fatto imprevedibili (come il terremoto in Abruzzo o il maremoto in Giappone). È chiaro che, in questi casi, ragionare ex post sulle responsabilità umane di fronte al disastro lascia un ampio margine di scuse da dare al popolo da parte di chi occupa posti di comando. Certo, anche qui, quando ci si accorge che le case sono state costruite con cemento simile a farina, la gente s'inalbera e protesta – e a ragione.
Ma a fortiori la gente dovrebbe incazzarsi quando le catastrofi sono dovute chiaramente a responsabilità umane, come nel caso delle grandi crisi economico-finanziarie. Ma perché questo eventuale "incazzamento" spaventa solo fino a un certo punto la classe dirigente?
Perché nei paesi democratici la borghesia è diventata la categoria universale. Certo ci sono differenze sostanziali tra i borghesi cassintegrati e i borghesi capitani d'industria. Certo, ci sono ancora sacche della popolazione che non lo sono (borghesi, intendo) ma che aspirano a diventarlo (vedi la quasi totalità dei migranti).
Per carità, queste cose le diceva già Pasolini nei suoi Scritti corsari criticando la società dei consumi che, a suo dire, era riuscita a uniformare il mondo molto più di qualsiasi fascismo o comunismo. Ce le ricorda oggi, con un notevole articolo, il filosofo Sebastiano Maffettone dalle pagine de Il Sole 24 Ore, dal titolo “Oggi l'«io» si è scollato dal mondo”.
Ne riporto alcuni passaggi:
«Insomma, attraversiamo un'epoca in cui nessuno di noi riesce a vivere in armonia con la propria comunità, a operare pensando che ogni contributo al miglioramento di se stesso possa giovare anche agli altri. Non era così dopo il 1945. In Europa e in Italia, il consenso keynesiano sulla necessità di ridistribuire la ricchezza e sull'opportunità che lo Stato difendesse i più deboli era pressoché totale. Accomunava i socialdemocratici inglesi e scandinavi, i cristiano-democratici tedeschi e il generale De Gaulle, i comunisti italiani e la Democrazia cristiana. Ma valeva anche nella vita di tutti i giorni».
E invece oggi l'io ha subito una sorta di scollamento e questo è attribuibile dunque al fatto che tutti siamo diventati più o meno borghesi, tutti facciamo i cazzi propri.
«Opera uno scollamento dell'io dal resto del mondo, una scissione se vogliamo adoperare la parola di Hegel, che crea difficoltà nel legare la propria attività a quella delle istituzioni e più in generale di dare senso all'esistenza».
La borghesia priva di senso l'esistenza, la svuota: ecco perché la parte borghese, diciamo così, reazionaria si rifugia volentieri verso forme di religiosità coatta, che garantiscono il senso di diversità dal borghese di nascita e dagli affamati del nuovo mondo che lo vogliono diventare.
Ma questo graduale scollamento dell'io dalle illusioni che le tenevano inginocchiato a qualsivoglia altare, secondo Maffettone fa sì che
«non riusciamo più a rappresentare il mondo in forme riconoscibili, e soprattutto a dare senso all'esistenza dopo che il ciclone» 
della modernità che ci ha resi liberi dalle ideologie che tenevano l'uomo prigioniero. Oggi possiamo sempre più fare quello che ci pare. Siamo liberi. Ma ci mancano i soldi. Siamo borghesi, ma ci mancano i suv e i motoscafi. Siamo divi, ma ci mancano i red carpet e le strafighe vestite Versace che ci accompagnano a tette di fuori. Potremmo essere tutto ciò che vogliamo, ma alla fine cadiamo tutti in trappola degli stessi desideri. È qui che la borghesia fallisce: perché tiene la libertà alle redini del denaro, il grande mediatore. E se proviamo a cercare una via d'uscita, un senso, ecco che
«ci accorgiamo spesso di adoperare fantasie, sogni e utopie terribilmente datati. E proprio per ciò incapaci di svolgere la loro mediazione fondamentale tra la progettualità individuale e il mondo che ci circonda».
Vanno scritti nuovi manuali di felicità. Così per essere meno tristi, in attesa che la rivoluzione si compia. Da sola, ché noi borghesi non siamo capaci di farla, in quanto borghesi, in quanto porci.

P.S.
VZ ha scritto questo post uscito in contemporanea del mio che cito volentieri.

sabato 30 luglio 2011

Pedagogia per i figli dei re



Quello che più mi stupisce delle nuove generazioni figlie dei potenti della terra è che esse non sono ribelli per niente, nonostante le apparenze iniziali. Stanno dentro il sistema, timorosi di perdere i privilegi. Non ci sono più santoni indiani che li affascinano: tutt'al più qualche insegnante di pilates, o qualche sportivo della corte. Prendiamo la bella Barbara B. Invece di mandare affanculo il padre, ne segue le orme come niente fosse, senza accorgersi che, ad ogni passo, ella pesta guano: del padre e dei suoi giullari. E pensare che si è laureata in filosofia con una tesi su Amartya Sen e che ha seguito le lezioni di Cacciari. D'accordo, si goda pure le vacanze, ma che ogni tanto un pensierino, non dico di rivoluzione, ma di ribellione non le venga, questo mi dispiace. Come mi dispiace non venga a tutti gli altri figli dei re. 

Non perché debbano finire come Edoardo Agnelli, per carità. 

Addii, fischi nel buio, cenni, tosse


Caro Giuseppe, mi dispiace tanto.

Addii, fischi nel buio, cenni, tosse
e sportelli abbassati. È l'ora. Forse
gli automi hanno ragione. Come appaiono
dai corridoi, murati!
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

- Presti anche tu alla fioca
litania del tuo rapido quest'orrida
e fedele cadenza di carioca? -

Eugenio Montale, Le occasioni

P.S.
Per quel che vale in questi casi: nonostante il Corriere dica che a darne notizia è stato il sito di Repubblica, quest'ultimo ha riportato la notizia in homepage dopo il Corriere stesso. Non ho fatto in tempo a catturarne la schermata, ma io ho visto così.
Infine: è la prima volta che vedo la faccia di D'Avanzo. Una bella faccia. Ma come succede spesso in questi casi io me lo immaginavo diversamente; gli avrei dato la faccia di Starobinski giovane, e invece è tutta un altro tipo. Ci mancheranno i suoi articoli, le sue inchieste. E se qualcuno a cui egli era inviso dirà che sarà stato l'odio a farlo morire, vada affanculo subito preventivamente.

Opportunità politiche

[...]

Sì, sarebbe opportuno eccome, egregio Marcenaro. Però dopo che Gheddafi avrà freddato il suo amore.

venerdì 29 luglio 2011

Polmoni d'acciao


«L'ultima volta che lo vidi, – disse Neary, – faceva economia per potersi comprare un polmone d'acciaio, il giorno che fosse stanco di respirare».
Samuel Beckett, Murphy, Einaudi, Torino 1962 (traduzione di Franco Quadri).

È così. Lui non ha fatto economia, il mio amico intendo. Se li è spesi tutti, i soldi, fino all'ultimo centesimo. D'accordo, alle Poste deve ancora ritirare la paga della minima di questo mese; ma era già ricoverato all'ospedale e non ha potuto, non ha nessuno cui dare la delega. Ricoverato, già: la cannula che l'aiutava a respirare non era più sufficiente, frequenti attacchi respiratori lo colpivano durante la giornata, soprattutto nelle ore più calde. Per questo gravitava ormai sempre nei dintorni dell'ospedale. «Non posso spostarmi», mi diceva sconsolato; e sì che sarebbe andato volentieri a prendere una boccata d'aria lontano dalla città.
Adesso è lì, disteso, bello pulito, con la pelle fresca, il volto sbarbato e i baffi come un attore francese che ora non ricordo il nome.
«Dorme», mi dicono le infermiere «non è propriamente in coma». Dorme da dieci giorni, qui, in terapia intensiva, con i tubi del macchinario che l'aiuta a respirare. È sedato leggermente, ma non patisce. Ci sono dei parametri che vedono se un paziente soffre o meno. «E poi stamani», mi dice l'infermiera, «facendogli un prelievo in un'arteria ha fatto una smorfia di dolore».
Dicono i medici che ha subito anche un parziale danneggiamento cerebrale, che hanno riscontrato con un elettroencefalogramma. Pare sia stata decisiva in tal senso l'ultima crisi, quella che l'ha condotto qui, poco prima di essere attaccato a questo polmone d'acciaio.
«Il cancro avanza qui sul petto» mi indica il medico che gli tiene il polso, e le speranze sono minime. «Quante, all'incirca?», chiedo così per rompere il silenzio dopo quella sentenza. «Beh, in questi casi, non si può mai dire esattamente, ma non più di una su diecimila».
E perché dovresti essere te il "fortunato", amico mio senza fissa dimora da vent'anni, pensionato con la minima da quasi due, che dormivi sulle sedie della sala d'aspetto della stazione e che quando la città era rovente o diaccia ti rifugiavi nell'aria “confezionata” o “riscaldata” del Circolo di quartiere?
«Ah, maremma maiala la Fiorentina ha perso».
«Ma guarda, Ciccio, a me non importa più una sega del calcio».
«Fai un salto al Saltino; va' a mangiare ceci alle Sieci; Sesto, Peretola e Campi la peggio genìa che Iddio gli stampi» e vieni via di qui, caro A., ma non troppo che tu puzzi, da quanto tempo è che non ti lavi, ma monta in macchina lo stesso che domani andremo alla sagra del cocomero in Valdichiana in Valtiberina in Valdarno in Valfanculo, si trovano i bagni diurni e si va a fare una bella doccia – anche se, beninteso, ci porterei più volentieri quella bionda.
«Quale bionda?»
«Quella, non la vedi, giù coi piedi a mollo in Arno?».
«Oh, bionda! Quanto l'è fonda?», e lei: «Mezzo braccio, bischeraccio».
Tutto qui.

Ma adesso almeno, caro A., sei nelle mani di qualcuno, hai sott'al culo un materasso comodo antidecubito e soprattutto puoi dormire, tanto, e avere sonno quanto ti pare e, forse, puoi sognare qualcosa che ti stia facendo ridere e stare bene.
Vai avanti ancora quanto più ne hai voglia. Stai meglio ora che in quell'albergo dove in due giorni ti sputtanavi la pensione per recuperare il sonno arretrato.
Ecco che cos'è dottore questo stato di dormiveglia; mi dia retta, le macchine non conoscono la situazione e non lo possono scoprire: il suo è sonno arretrato, sonno di vent'anni, di voglia di un letto comodo e pulito, di un posto caldo e confortevole, di mani care che si posano addosso su una pelle triste.
Signora infermiera la saluto. È stata molto gentile. Questo è il mio numero, nel caso... Posso chiamare di tanto in tanto? Lo so, la privacy impone che per telefono non si possano dare notizie. Ok, tornerò. Tornerò a vederti dormire, caro A. Non ho voglia di seppellirti ancora.
Ciao, alla prossima. Intanto se ce la fai conta le pecore. Quante? Diecimila.

Scoperti nuovi giacimenti di petrolio in Somalia

Big Picture
C'ho provato, così, giusto per vedere se le Forze Nato abboccavano.

Cognomi preziosi

Cinzia Sasso,  Sergio RubiniIlvo DiamantiPiero Ottone, Tito StagnoDario FerriFranca RameFreddy Mercury, Daniele Piombi, Agnolo BronzinoDario Argento.

E gli ori a chi? A Federica Pellegrini.

[siete pregati di continuare...]

Giovani che piacciono a Vittorio Feltri

Caro Leonardo,
se, con una colletta, ingaggiassimo tale giovincella nipponica, credi che lo troveremmo il coraggio d'irrompere nella redazione de Il Giornale?

giovedì 28 luglio 2011

Roba da smanettoni


Sul Foglio di oggi c'è una lenzuolata di Ruggero Guarini che non ho letto, se non a sprazzi, perché tanto so dove va a parare e Guarini  è così irritante. Per carità, io non gioisco perché Alfonso Papa è in carcere, ma mi sembra così fuori luogo attaccarsi alla storia per dimostrare la fallacia del carcere preventivo solo perché un deputato è stato arrestato, con tutti i riguardi del caso, e non una parola più su Aldo Bianzino o Stefano Cucchi (e purtroppo tanti altri). State zitti, per favore e soprattutto (e qui non incolpo Guarini) smettetela di coniare parole di merda a raffica, come questo epiteto manettare, da "manettaro", che uscito a fior di labbra al Direttore e subito, per improntitudine, tutti a dirlo, a ridirlo, a ripeterlo finché non diventa eco e non rimbalzi nelle teste di Gasparri di quel che resta dei coriferi del Popolo della Libertà. E poi dite che è «un'espressione che non vi piace», ma come la dite volentieri, perché pensate con essa di qualificare i vostri avversari, come appiccicandogli un distintivo, una stella gialla. E vi chiudete nei vostri pregiudizi, nelle vostre tesi formulate solo per dare voce all'afonia politica che rappresentate.
Pataccaro, manettaro... in attesa di un altra parola che finisca in aro che sia quella che di solito si dice a chi vi legge e vi ridice a memoria paro paro pensando di essere brillante.

P.S.
Il titolo è un omaggio a Chrome, il browser di Google che alla voce Preferenze delle sue Impostazioni prevede tale dicitura. Cosa c'entra col post? Niente, solo un richiamo agli smanettari.

Spero di aver capito più di sua nonna

A me Tooby (l'Olandese Volante) convince molto con questo suo post dato che la sua, mi sembra, un'analisi penetrante dell'attuale crisi economico-finanziaria.
Ok, allora: i Mercati (pardon, gli «speculatori») fanno il loro "sporco" mestiere, ch'è quello di cercare di guadagnare quanto più possibile dalle situazioni di "crisi". Ma sono i Paesi in crisi di sistema (come la Grecia e l'Italia per fare un esempio) che consentono agli speculatori di fare i loro interessi, o sono gli interessi degli speculatori a provocare le crisi di sistema?
Una volta fatti i soldi con la Grecia, con l'Italia, con l'Europa, l'Asia, il globo, dove cazzo andranno a speculare? Dove diamine li reinvestiranno tutti i loro soldi guadagnati? Nel deserto? Su Marte? Dove? Già, è questo il punto; ed è qui che non so che tipo di politica, ma una Politica ci vorrebbe per correggere tutte queste sperequazioni, per far rientrare in circolo tutti i capitali che vanno e vengono, si disperdono e si concentrano nelle mani sempre di coloro che guidano gli speculatori (che fanno il loro sporco mestiere ok, ma molte volte i lavoratori hanno un padrone). Tooby ha rammentato Soros: ma almeno lui ha uno straccio di visione filosofico-politica! Ma dietro tutti gli altri, dietro questa immensa messe di capitali, quale senso

Perché non credo in Dio?


«Go away and read a book.» Richard Dawkins
Già. Perché ho preso alcuni libri in biblioteca e perché altri li ho comprati in libreria (vera od online).
Non lo so più bene perché non ci credo più, sempre che mai ci abbia creduto.
Certo, spesso ci parlo. Ma con Chi parlo? Con chi vorrei parlare? Con un Dio possibile, che mi costruisco faticosamente a tavolino, una specie di Superlucas da me confezionato, come un cappello Borsalino.
Sono ateo? Per me questa parola non ha senso. L'alfa privativo non ha senso. Come privare di esistenza l'inesistente? O meglio: il personaggio Dio esiste, come una finzione, come esistono gli eroi e le eroine della fiction di ogni tempo e luogo. Dio è come Madame Bovary: c'est Lui.
Ne riparleremo. Intanto leggiamo insieme cosa dicono questi Signori.

La brumm del fango

Nicchio Palma

Le critiche preventive al neo Ministro della Giustizia possono anche essere fondate ma se si tratta davvero di essere passati dalla padella alla brace (come dice Alberto), allora perché Berlusconi non ha affidato prima a Nitto Palma il dicastero di via Arenula? Di più: perché il capo del governo, nonostante le pressioni del Quirinale, ha nicchiato tanto prima di dare il suo placet definitivo? C'è qualcosa che non torna...

Morfogenesi delle fedi

Commentando un post di Giovanni Fontana ho scritto che, in fondo, nell’avere torto, hanno tutti ragione: questi eventi criminali sconvolgenti gettano luce sul discredito totale di ogni “fede” che esclude gli infedeli o li vuole convertire. Qui sta il punto (e dietro tutto ciò c’è per noi occidentali¹, lo si voglia o meno, la potenza rivelatrice della Croce²): quanti altri crimini, quanta altra violenza umana deve essere perpetrata nella storia affinché non resti più nessuno straccio di bandiera o di fede valida che non sia quella della debolezza, della finitezza umana, dell’impossibilità di creare su questo pianeta paradisi terrestri dove gli impuri sono banditi? Hanno mai pensato i fedeli di qualsiasi causa o religione che se, per incanto, tutta l’umanità abbracciasse quella fede particolare non succederebbe niente di diverso da quanto ora succede? Vale a dire, si nascerebbe, si vivrebbe e si morirebbe con tutto il corallario di dolori e piaceri, di sciagure e fortune, di eccezionalità e di mediocrità che la vita contiene. E invece ogni religione sogna di diventare il culto esclusivo di tutti gli umani, credendo che quel giorno in cui tutti s'inginocchieranno davanti a Dio, quel particolare Dio ritornerà per salutare la vittoria.
Gara assurda, inutile, giocata sulla pelle degli umani. Ma vai a dirglielo alle religioni (religioni intoccabili) di smetterla con questa competizione al Gott mit uns. Se glielo dici ti urlano contro che sei un laicista, un relativista etico, un nichilista, un multiculturalista un po' finocchio, un neodarwiniano eccetera.
Io cosa sono non lo so. So soltanto che, come spiegavo ancora in un altro commento là, che io, per quanto posso, cerco solo di togliermi tutte le fedi di dosso, e di restare nudo come un bruco nell'attesa di diventare una farfalla. Non per volare, ma per restare a terra.

¹Gli orientali, come giustamente rileva Giovanni, hanno Lao Tze, Confucio e Budda a ricordargli questo.
²Intesa non come evento religioso, ma epistemologico.

mercoledì 27 luglio 2011

Via dei Colli

Nome o corpo, quale è più caro?
Corpo e beni, quale conta di più?
Guadagno o perdita, quale è peggio?
Perché, quanto maggiore è la parsimonia tanto maggiore è la spesa; più grandi sono i tesori, più grande è la perdita.
Colui che sa soddisfarsi non sarà confuso.
Colui che sa dove stare non è in pericolo.
Egli può sussistere a lungo.

TAO TÊ CHING, Il libro della via e della virtù, cap. XLIV, Adelphi, Milano 1973 (a cura di J.J.L. Duivendak, traduzione di Anna Devoto).

Due segnalazioni

Se avete tempo, passate da lei e da lei, sarà ben speso.

Macchianera Blog fAwards

Se anziché essere una macchia fosse una goccia; e se anziché essere nera fosse rossa, allora vi direi andate là a votarmi che ho tanto bisogno di una trasfusione.
Mica ho l'Io potente, io, così poco preparato alla contesa e all'idolatria.


Età senza importanza*
Testa sfrontata
Occhi lussuriosi
Colorito ceruleo
Capelli casti
Lineamenti acuti
Collo 36,9 cm
Braccio 31
Avambraccio 26,5
Polso 18
Petto 88
Giro vita 76
Anche 90
Coscia 53
Ginocchio 37
Polpaccio 32
Collo del piede senza importanza
Taglia scarpe 43
Altezza 180
Peso 65 kg

Come posso fare ad amarmi di meno, a sentirmi meno sicuro, a sperdermi, farmi pulviscolo che si paracaduta nel vento come i fiori di soffione a primavera? Diffondersi con leggerenza, sapendo che si devono sparare tante cazzate prima che ne attechisca una. Se le metto in fila, avrò scritto io in vita mia 1500 pagine? Forse, chi lo sa, chi le conta, io non tengo il conto nemmeno delle ore che perdo e questa è un'accusa, perché avrei tutte le potenzialità per essere un uomo produttivo, che semina le sue idee e le fa diventare realtà: ah ah ah (un uomo ride qui accanto).

Stamani mi sono incantato a vedere un uomo su un trattore che mieteva i lupini. «E dopo che ne fai», gli ho chiesto e lui mi ha risposto: «Li risemino». Ecco, così qui dentro io mieto ciò che penso (che leggo) e lo risemino, affinché venga mietuto e riseminato, a ciclo continuo, con polvere e letame naturale d'oche che sorvolano la mente.
 

E questo post di fine pomeriggio non serve a niente. È stato solo ispirato da Metilparaben. Niente di male, ma io non ce la faccio proprio ad autopromuovermi come fa lui, anche così, ironicamente. Votate lui ch'è meglio. Votate chi vi pare. Non votate è uguale. Fate solo ciò che più vi va. A me per esempio ora va un gelato di pistacchio fatto bene.

*Ah, dimenticavo: l'elenco di sopra è ricalcato su quello di Murphy, di S. Beckett, Einaudi 1962 (trad. di Franco Quadri). Solo le misure cambiano, adattate alla mia perplessità.

Ancora sul P.C.I. (C come cattolico).

È proprio vero: per quanto ci si predisponga al meglio, non è possibile dirigere i sogni verso i propri desideri. Infatti, stanotte ho sognato Fanfani (il nipote) mentre leggeva la Commedia, anziché cose serie.

E quindi, a proposito di Fanfani (lo zio), di mattinata butto già ancora due o tre pensieri circa la ricostituzione di Partito Cattolico Italiano (P.C.I.), in riferimento al mio precedente post.

Giacché il comunismo non c'è più, io credo che l'unico collante che possa tenere unito, politicamente, il mondo cattolico sia la questione attinente al (per loro) temibile relativismo etico.

(A proposito: oh quanto farebbe gioco alla truppa cristianista e atea devota un bel terrorista relativista etico, magari anche omosessuale!).

Dalla scomparsa della DC, infatti, quando si è avuta l'unità cattolica?
1) Quando c'è stato da impedire la deliberazione di leggi liberali, sia di carattere bioetico (testamento biologico, procreazione assistita), sia di carattere attinente al diritto civile (matrimonio o unione tra persone dello stesso sesso, legge sull'omofobia).
2) Quando c'è stato da promuovere la deliberazione di leggi favorevoli al Vaticano (vedi tutti i finanziamenti alla Chiesa Cattolica da parte dello Stato).

Dunque, il Fronte Nazionale Cattolico sparso un po' ovunque in tutti i partiti dell'arco costituzionale, ha prodotto, per la Chiesa, ottimi risultati. 
Per questo io credo che la gerarchia cattolica (sotto sotto) non veda di buon occhio la rinascita di un nuovo Partito Cattolico (o Cristiano), dato che essa, da un punto di vista politico, ha ottenuto e ottiene  molto di più da questa diaspora dei cattolici, di quanto avrebbe ottenuto, e otterrebbe, se ci fosse stato e se ci sarà, in Parlamento, un unico punto di riferimento. 
La CEI (e la politica ruiniana) è tutto meno che stupida: sa benissimo che, pur essendo l'Italia un paese a maggioranza cattolica, le sue posizioni politiche sono viste e percepite come retrive e obsolete. Per questo è meglio che esse trovino voce in tutti i partiti presenti in Parlamento, anziché in uno solo. È in questo modo che si ottengono leggi favorevoli ai propri desiderata. E se tali leggi cozzano contro il sentimento degli italiani, pace. Tanto gli elettori hanno i referendum abrogativi a dispozione. E si sa che i referendum, molte volte, falliscono.

Inquietudini democristiane

Il ragionamento del professor Galli Della Loggia è più complesso, con implicazioni storiche su cui voglio intenzionalmente sorvolare. Cerco di riassumere il contenuto del suo editoriale di lunedì facendolo rispondere con parole più o meno sue (quelle "sue" sono tra virgolette) a delle domande che evinco facilmente dal suo stesso articolo:

Avrebbe bisogno l'Italia della rinascita di una nuovo partito cattolico unitario (una nuova Democrazia Cristiana insomma)?
«Sicuramente sì».

Se rinascesse, quale sarebbero i primi problemi che si troverebbe ad affrontare?
«Due problemi decisivi. Il primo è un problema per così dire posizionale», vale a dire il novello «partito cattolico (o cristiano che sia)» dovrebbe stare a destra e contrapporsi a un partito di «sinistra democratica». 

Insomma, sarebbe sbagliato far rinascere una nuova Dc con l'ambizione di riassumere una "posizione centrista"?
Sì, senza dubbio. Il maggioritario va salvaguardato. Ma attenzione: «in un sistema a suffragio universale contrapporsi alla sinistra - in questo senso stare a "destra" - non implica affatto sostenere politiche antipopolari, reazionarie o classiste. Sostiene forse politiche di tal genere la cancelliera Merkel?»

E il secondo problema quale sarebbe?
«Riguarda il rapporto con il mondo cosiddetto laico di cultura in senso lato liberale».

In che senso?
Nel dopoguerra fu facile per la Dc allearsi coi laici e i liberali: il collante era l'anticomunismo. Oggi il PCI non c'è più, ma è necessario «Un rapporto con il mondo laico di cultura liberale basato su un incontro sui programmi ma anche sui valori». 

Sui valori? E su quali valori?
«Su che cosa può e deve essere l' Italia, sulle scelte importanti, talvolta dolorose, che il Paese deve decidersi a fare se vuole uscire dalla crisi in cui si trascina da due decenni. Ma anche sulle risposte da dare alle sfide che l'onnipotenza congiunta della globalizzazione, della tecno-scienza e di un pangiuridicismo sempre più invadente pongono alle società democratiche e all' intera nostra tradizione culturale. Lo spazio per un simile incontro oggi forse c'è o si sta creando nella società italiana. E tanto maggiore esso potrebbe essere, a mio avviso, se la nuova Dc, chiamiamola così, più che un partito stricto sensu cattolico si sentisse e si concepisse - secondo ciò che del resto diceva il suo nome di un tempo - come un partito cristiano: per dissipare qualunque equivoco sulla dipendenza dalle gerarchie ecclesiastiche, e per ribadire esplicitamente la propria proiezione al di là dell' ambito confessionale. Cristiano, del resto, per dire l' essenziale di ciò che va detto, basta e avanza».


***

A.B. Breivik l'ha detto (scritto) in 1500 pagine. 
Sarà che in questi giorni siamo tutti sotto l'influenza dell'eccidio del carnefice cristiano, ma non pare anche a voi che in quest'ultima "risposta" EGDL auspichi la nascita un partito cattolico che sfidi la globalizzazione, la tecno-scienza, il pangiuridicismo, e il multiculturalismo in nome della nostra tradizione culturale? Ma in questo auspicio non avvertite anche voi una sorta di analogia con il programma politico di un Breivik o di un Borghezio? 
L'essenziale, per un partito cattolico (o cristiano) che rinasca, è una politica che anteponga sempre le esigenze della civitas dei a quelle della civitas hominis. E questo cozza inevitabilmente col mondo laico e liberale, almeno di non intendere laici e liberali coloro che si ostinano a chiamarsi tali ma che no, porcamiseriaccialadra, non lo sono.

martedì 26 luglio 2011

S'io fossi Cir(o)

 «Cir rende noto di aver ricevuto in data odierna da Fininvest il pagamento dell'importo di circa 564,2 milioni di euro, liquidato dalla Corte di appello di Milano con sentenza depositata in data 9 luglio 2011 - si legge nel comunicato - quale risarcimento del danno causato dalla corruzione giudiziaria a suo tempo posta in essere nella vicenda Lodo Mondadori. L'importo è comprensivo di spese legali e interessi dal 3 ottobre 2009». «Cir e i propri legali Vincenzo Roppo ed Elisabetta Rubini - prosegue la nota - preso atto dell'intenzione di Fininvest di presentare ricorso in Cassazione, sono pienamente fiduciosi che le buone ragioni della società, già riconosciute da una sentenza penale passata in giudicato e da due gradi di giudizio civile, troveranno in tale sede ulteriore e definitivo riconoscimento».
Per sicurezza, prima di investirli in chissà che, in attesa della sentenza definitiva della Cassazione, io fossi De Benedetti coi 564.200.000 € ci comprerei dei Buoni del tesoro a breve termine, greci o italiani, non importa, così darei un segnale di fiducia ai mercati e intanto, se proprio dovesse andarmi male, nel senso che se Berlusconi scovasse un nuovo Carnevale, insomma, potrei rendergli il ben tolto senza affanni o tutt'al più rendergli i Buoni del Tesoro (greci o italiani).

Oh, Fedora!

Oggi ho trascorso il pomeriggio con Fedora. A installare Fedora, intendo.

Vedete, il mondo Linux è talmente libero che consente di passare da un sistema operativo all'altro senza che nessuno si senta tradito. Anzi. E poi Fedora è così bella con la sua Gnome 3.

Quando un'epoca volge al tramonto

«... Con le spalle al muro, nell'angoscia delle stanchezze, nel grigio del vuoto, leggete Giobbe, Geremia e Malvino e tenete duro...». G. Benn

lunedì 25 luglio 2011

Lotteria della pena

Ivo riflette (non è e non sarà il solo: eccone un altro) sull'entità della pena che rischia A. B. Breivik. 
Sinceramente, chi non gli farebbe volentieri un po' di male a tale assassino? 
Chi non godrebbe nel vederlo soffrire, che ne so, tipo Dustin Hoffman dal dentista?

Ma avrebbe senso? Secondo me no. O meglio: lo avrebbe se per ogni dolore provato ritornasse in vita un ucciso. Così non è.

Il Dio degli Eserciti si sarebbe certamente vendicato, questo è sicuro.

Secondo me andrebbe trovata una pena che potesse in qualche modo andare contro le aspettative di Breivik. Una delle cose principali che lo spiazzerebbe è: indifferenza.
È facile immaginare che il suo avvocato gli riporti il clamore mondiale della sua impresa terroristica e omicida; il fatto che - in questo momento - è una delle persone più famose del mondo è per il terrorista fonte di godimento.

Ecco: una pena immediata dovrebbe essere quella di non lasciar filtrare niente di cosa accade fuori. Dimenticarlo. Di più: fargli credere che ha ucciso meno persone di quanto pensa.
Oppure: accordo bilaterale tra la Norvegia e un paese musulmano per la costruzione di una moschea nella fattoria biologica di Breivik (sempre che non ci sia già passato Calderoli).

Oppure ancora - qui siamo a livelli di Arancia meccanica: all'alba sveglia con l'Internazionale. Mattinata di letture dal Libro Terzo de Il Capitale, «Il processo complessivo della produzione capitalistica». A pranzo cous cous e montone selvatico in umido. Pomeriggio letture ragionate - e non alla cazzo di cane - di John Stuart Mill. Cena cubana. Musiche degli Intillimani e di Franco Battiato durante la giornata.

Infine, dato che il terrorista aveva pensato di colpire anche il Papa e l'Italia, la nostra Magistratura, con l'appoggio del nostro governo, dovrebbe chiedere l'estradizione di Breivik: ci sarebbero maggiori probabilità da noi che in Norvegia di vederlo uscire dal carcere per orizzontale prima del processo.

La piccola Ophelia vestita di bianco

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Così, per sapere...

O Utenti di Gmail, risulta anche a voi che tra le 20,40 e le 21 di stasera non è stato possibile accedere al propria casella di posta né tantomeno accedere al proprio Account personale?

Buongiorno blogger!

Stamani bisogna (nel senso che proprio bisogna) che cominci la mia giornata bloggheristica segnalando due post.
Uno di sabato sera scorso, nel quale Formamentis, in poche righe, aveva già riassunto tutti i commenti del Foglio, del Giornale, di Libero e di Avvenire.

L'altro è di stamani, fresco fresco: l'ha scritto Smeriglia e invece vorrei averlo scritto io, gné.

Sapete una cosa? Io sapendo che in Italia ci sono due individui del genere sono più contento, felice di abitare sotto il loro stesso tetto (almeno che non siano scappati in Isvizzera).

Già: non esistono accademie più illuminanti di certi pensatori in giro per la rete. E sapere che io posso leggerli conforta parecchio l'animo mio offeso dalla bruttura di chi comanda la nostra penisola di pena.

Ne cito uno a caso, dei brutti: colto a mettere il dito nei buchi altrui quando sarebbe tanto meglio che pensasse al proprio (che immagino).

domenica 24 luglio 2011

La sera domenicale


A Filippo: lui sa chi è, lui sa perché
Lo so: lo spazio di un post esige una misura contenuta, altrimenti la lettura si affatica e il lettore giustamente rinuncia; a meno che il blogger non sia capace di tenere il lettore incollato fino in fondo, fino all'ultima riga.
Ora, dato che ciò che andrò sotto a riportare non è mio, ma di quella magnifica scrittrice che è Elsa Morante, vi prego di leggere tutto il componimento poetico, tutto.
Sappiate che l'ho trascritto io, che non l'ho copiaincollato da qualche parte. Per cui, anche per gratificare questa mia "fatica", vi ri-prego (e che il mio prego valga mille, come disse Dante) di andare fino in fondo, fino all'ultimo verso della domenica morantiana.
Leggendo vi sentirete trascinati in un gorgo di preveggenza, di chiarificazione di eventi umani che ci scuotono, e il pensiero vedrete dove correrà. Ma troverà rifugio, statene certi.


Per il dolore delle corsie malate
e di tutte le mura carcerarie
e dei campi spinati, dei forzati e dei loro guardiani,
e dei forni e delle Siberie e dei mattatoi
e delle marce e delle solitudini e delle intossicazioni e dei suicidi
e i sussulti della concezione
e il sapore dolciastro del seme e delle morti,
per il corpo innumerevole del dolore
loro e mio,
oggi io ributto la ragione, maestà
che nega l'ultima grazia,
e passo la mia domenica con la demenza.
O preghiera trafitta dell'elevazione,
io rivendico per me la colpa dell'offesa
nel corpo vile.
Stàmpami nella mente malcresciuta
la tua grazia. Io ti ricevo.

E ricomincia la piccola strage.
Il sudore la nausea il freddo dei polpastrelli l'agonia delle ossa
e la ridda delle astrazioni meravigliose
nell'orrore della scarnificazione.
La solita pavonessa funesta detta Sheerazade
spiega la sua ruota di trafitture,
piume e flore subito pietrificate
nella vertigine dei colori contro natura, linciaggio lacerante
di sassi puntuti. Nessuna via di fuga.
La gamma dell'illimitato è un'altra legge carceraria
più perversa di ogni limite. Ma ancora
di là da un'era glaciale la norma quotidiana
si riaffaccia a intervalli col suo povero viso domestico
mentre la mescolanza dei regni della natura
scioglie le vene a ondate come il primo mestruo infantile
finché la linfa è bruciata. La febbre carnale è consumata.
La coscienza è ormai solo una tignola che batte nel buio micidiale
in cerca di un filo di sostanza. L'estate è morta.
Addio addio recapiti e indirizzi papi bestiari e numerazioni,
Via della Scimmia, la Navona, Avenue Americas.
Addio misure, direzioni, cinque sensi. Addio doveri servi e diritti servi e giudizi servi.
Rifùgiati alla cieca dall'altra parte, inferi o limbi non importa,
piuttosto che ritrovarti nel tuo domicilio laido
dove ti schiacci fra le pareti bruttate dalle tele dipinte
che si riconoscono stracci e polveri di Sindoni degradate.
Il pavimento è un fango sanguinoso che ribolle
alle stanze,, ossari che si sfanno, nell'ultimo baleno
di un piatto d'ottone deformato, dove i limoni
si gonfiano a bolle di plastica. E dallo specchio
ti fissa con le occhiaie polverose qualcosa di estraneo ma pure
prossimo intimo, squama oscura di qua da ogni incarnazione,
che nega anche lo scheletro e tutta la vicenda
delle genesi e delle epifanie
e dei sepolcri e delle pasque. Non tentare l'itinerario
storpio e rovinoso della scala, che per te è un'ascensione di secoli,
e di sopra e di sotto c'è sempre l'inferno.
Il cielo decaduto è la bassa tenda cenciosa
del lazzaretto terrestre. E il flauto mozartiano
è un saltarello maligno, che ti ribatte
fin dentro il bulbo dell'occhio la sua triviale mimica
di un'aritmetica ossessiva che non significa altro...
Nessun cielo ulteriore si scopre. Non s'apre il loto dei mille petali.
Tu sei tutta qui. E non c'è altro.
Assisti a questo. E cessa di chiamare
amanti morti, madri morte.
Denudàti, più poveri ancora di te, loro non frequentano questa
né altre dimensioni. Ultima loro dimora
resta soltanto la tua memoria.

Memoria, memoria, casa di pena
dove per cameroni e ballatoi deserti
un fragore di altoparlanti non cessa di ripetere
(il meccanismo s'è incantato) sempre il punto amaro
degli Elì Elì senza risposta. L'urlo del ragazzo
che precipita accecato dal male sacro.
Il giovane assassino che smania nel folle dormitorio.
La mozza litania cristiana nel deposito
dell'ospedale, intorno alla vecchia ebrea morta
che scostò la croce con le sue manine deliranti.
SENZA I CONFORTI DELLA RELIGIONE. Questa casa è piena di sangue
ma il sangue stesso, tutti i sangui, non sono che vapori larvali
conformi alla mente che li testimonia.
E quando per te venga l'ora del requiem, così sarà per quelle grida.
La domenica sconsacrata ormai declina
le lune della peste sono giù calanti
la siepe spinata rigermoglia, i tuoi sensi scampanano a cinque voci.
Riaffréttati, riaffréttati all'incontro dei tuoi poveri domani consueti
e del tuo solito corpo morituro.
È l'ora di cena. O fame di vita, nùtriti
ancora alla sostanza quotidiana delle stragi.
Rinasci alle forme e confidenze e cori arbitrari
alla coscienza
alla salute
all'ordine delle date
al tuo posto.

Nessuna Rivelazione (Lo spettacolo, anche illegale,
dipende sempre dalla fabbrica collettiva degli arbitrii).
Nessun peccato (La macchina architettata per il supplizio
non ha colpa dei supplizi, o poveri peccatori).
E nessuna grazia speciale.
(Unica grazia comune è la pazienza
fino all'amen della consumazione).
Vàttene contenta. Assolta, assolta, benché recidiva.
Buona sera, buona sera.
Anche questa domenica è passata.

Elsa Morante, Il mondo salvato dai ragazzini, Einaudi, Torino 1968

Questo posto è fatto per Dio



Pubblicità pertinenti

Prese dal Corriere della Sera di oggi. La seconda sui  Fiordi c'è anche, uguale, su Repubblica.



(Flic, floc: non sono il solo ad essemene accorto: diciamo che la si è pensata insieme, anche se Il Nichilista ha costruito un post più preciso del mio).

Abbiamo sbagliato, con qualche ragione

Dato che stamani, a clima, sembra di essere ad Oslo, grigio fuori e pioggia, quindici gradi scarsi e freddo ai piedi, come aperitivo, così per riscaldarsi, e dato che ancora ho lo stomaco vuoto e non rischio il vomito, ho deciso, dopo queste curiose coincidenze di Knulp, di andare a vedere se il direttore di Libero avesse scritto almeno qualche riga di scusa per l'increscioso abbaglio avuto ieri nell'attribuire le colpe della strage norvegese ai fondamentalisti islamici.
Scrive Belpietro nel suo editoriale:
Dunque abbiamo offerto una lettura sbagliata, ma con qualche ragione.
Ed è spassoso dopo leggersi l'elenco di ragioni addotte per giustificare il proprio errore: il bello è che Belpietro non si accorge che tali non sono ragioni ma esercizi di fede. Par che dica: “Noi di Libero credevamo fossero stati i terroristi islamici perché lo speravamo, lo desideravamo tanto. Oh quanto sarebbe stato meglio se fossero stati loro, quanto ci avrebbe fatto gioco, quante copie in più avremmo venduto! Purtroppo quei lavativi, proprio adesso che ci servirebbero, anche politicamente, hanno deciso di restare in sonno, così non ci resta che
condannare chi commette crimini atroci, anche se lo fa in nome della civiltà occidentale.
Cosa vuoi, fa l'offeso. D'altra parte gli prude che Vendola abbia avuto gioco facile nel criticarlo per ll'errore di attribuzione compiuto ieri. In fondo, inutile nasconderlo, se  A. B. Breivik sapesse leggere l'italiano, Libero sarebbe indubbiamente una delle sue letture preferite e bel "mi piace" sul suo profilo Fb non glielo avrebbe certo negato ad un editoriale belpietresco.

sabato 23 luglio 2011

Fai un passo indietro, amore

A volte mi prende un profondo rammarico per non saper suonare alcuno strumento; infatti, mi piacerebbe esser capace di "musicare" delle parole che si presentano a me accompagnate da un motivetto che so solo fischiare, ma non certo trascrivere su un pentagramma.
Niente di che, per carità. Non cerco mica gli accordi di un Battisti. Mi sono sufficienti quelli di un Apicella.


Ecco il testo, ispirato da quanto detto ieri dal Presidente della Camera, Gianfranco Fini.


Fai un passo indietro
insieme a me, amore.

Fai un passo indietro 
insieme a me, perché

Se tu fai un passo indietro
amore,
vedrai che staremo bene
io e te... eh eh

A fare un passo indietro
tu lo sai, amore,
tutto al mondo ti sorriderà
ah ah

Fai un passo indietro
per favore, amore.
Vedrai chi ti ama
capirà, nah nah

Ma se non fai un passo indietro
amore
la gente ancora più ti odierà
ahn ahn.

Quindi amore ascolta sai
il mio cuore
fai un passo indietro
e tutto finirà. Zan Zan.

La morale è un elemento decorativo

«Non c'è nessun nesso», disse Ajax von Uchri, «la morale è un elemento decorativo. Vengono uccise migliaia di persone tutti i giorni, sulle strade, nelle miniere, nelle fabbriche, miserabili che muoiono di fame o vanno in rovina; periscono a centinaia di migliaia perché è giunta la loro ora. Chi riflette sulle disgrazie trae conclusioni errate. Il corso degli eventi segue leggi spietate ma non ha una morale. Le religioni e le nazioni che sono state complici di milioni di assassinii declinano secoli dopo, e non perché subiscano vendetta per i loro crimini. I vendicatori sono altri, a loro volta già da annoverare tra i criminali. L'uomo ha solo un'anima presuntuosa; al posto di una vera esistenza ha una ragione che si lascia violentare - che sembra essere destinata solo all'abuso -  non a correggere la creazione in virtù della misericordia».

Hans Henny Jahnn, 13 storie inospitali, Lavieri editore, 2010 (pag. 135. Traduzione di Domenico Pinto).

La forza della fede

Come può un uomo da solo arrivare a tanto? Come può un uomo da solo pianificare tutto questo sterminio e riuscirci e restare vivo?
Una cosa è certa: era un uomo di fede. Solo chi crede ciecamente a qualcosa, solo chi ha la mente corrosa a tal punto dalla fede può commettere simili orrori. Attenzione: non sto dicendo che tutti coloro che hanno fede sono pazzi criminali. Ma è certo che tutti i pazzi criminali hanno fede, non hanno dubbi, hanno solo certezze assillanti, corrosive, appunto.
Come dice uno scarno ritratto che circola ora in rete, pare che il presunto responsabile della carneficina, alcuni giorni fa abbia postato su Twitter un eloquente frase di John Stuart Mill: «Una persona con un credo ha altrettanta forza di 100.000 persone che non hanno interessi». E benedetti coloro che non hanno interessi, che vivono nell'indolenza e nel menefreghismo, coloro che alzano le spalle, che rinunciano, che si sentono indecisi a tutto, che non si votano interamente a qualsivoglia credo e non si svuotano il cervello di quello che più ci rende credibili in quanto uomini: il dubbio, il nostro miglior amico, la cosa più pertinente in questo folle universo frutto del caso e della necessità
Alla forza del credo preferite, o uomini, la debolezza del dubbio.

Chiamate Dio all'appello, o fedeli, chiedetegli spiegazioni, domandate Lui se tutto questo ha un senso, se dietro questa potente volontà omicida si nasconda un disegno.

La risposta non c'è. C'è solo il dolore immenso e la rabbia sconfinata, la voglia di diventare a ritroso un supereroe che con una mano sola frena la strage e spezza la mano che spara.

Perché adesso nessuna pena inflitta al colpevole restituirà il sorriso dei caduti. E tutto questo è insopportabile. Occorre che il pensiero si distragga e pensi qualcos'altro per salvarsi e non restare sommerso.

In questo momento centottantadue persone stanno avendo un orgasmo.
In questo momento stanno nascendo novantuno bambini.

venerdì 22 luglio 2011

Pensare la storia

Quando il pensiero di comprensione del presente si manifesta in siffatte forme, non resta che ammirarne le volute e rendere grazie a chi ne è l'artefice.
Trattasi di quella famosa arte diacronica, ovvero della capacità di astrarsi dalle contese per cogliere la contemporaneità nella maniera più appropriata, quasi come se la si osservasse in sospensione, pur essendovi naturalmente immersi. E io penso che abbiamo tutti da imparare da chi offre simili prove di disvelamento di quanto accade intorno a noi, «inconsolabili orfani della storia». Oh, quanto sarebbe bella la favola dell'eterno ritorno se essa fosse vera! Come volentieri ci attaccheremmo all'azione se essa potesse ripetersi all'infinito. Quante volte sventoleremmo una banconota da cinquemila lire o da cinque euro per gridare: «Vuoi pure queste oh B. vuoi pure queste», per poi vederlo uscire il B. da Palazzo Raphael o dall'Hotel Grazioli lanciando soltanto il plusvalore?*
«Perché ogni cosa è talmente legata con tutto che voler escludere una qualsiasi cosa vuol dire escludere tutto». (Nietzsche).
Di ciò che è stato non può essere tolto niente. E non puoi togliere niente, ora, per modificare ciò che sarà. Non sono sicuro di quello che sto dicendo. Vado a tentoni. So che il mondo va avanti da solo anche senza pensarlo. Ma lo sforzo di pensarlo, di costringerlo nella rete del pensiero ci fa avere l'illusione di possederlo, anche solo per un attimo, intenso, in cui ci si sente vivi. 


*Mi sono sempre chiesto che fine avranno fatto tutte quelle monetine lanciate: saranno state raccolte da chi? oppure avranno attecchito e dato per frutto l'attuale classe dirigente?