lunedì 2 giugno 2014

Capitalismo e libertà (3)

Penso che siamo quasi arrivati a un punto della storia in cui diventa necessario raccontarsi queste cose per una ragione meramente umanistica, di - almeno credo - vero amore e cura della libertà umana, che è cosa totalmente diversa dalla libertà dei capitali.
Come ha scritto oggi Olympe de Gouges
«Va ad ogni modo tenuto presente che il capitalismo non ha la formula per risolvere le proprie contraddizioni, e anzi proprio perché poggia su tali contraddizioni e opposizioni d’interessi che ci sta portando in un vicolo cieco, allo stesso modo non c’è alcuna necessità storica che conduca di per sé al superamento positivo della formazione sociale capitalistica, bensì, come ho già avuto modo di dire in passato, è data la possibilità di raggiungere questo obiettivo, di accorciare “le doglie del parto” anzitutto nella lotta per il bisogno e nello slancio generoso quale opzione etico-morale, laddove quest’ultima non può prescindere da una particolare concezione ontologico-antropologica.»

A ogni buon conto, il mio auspicio è che gli studiosi di economia (e di politica) riaprano e rileggano a fondo l'opera marxiana per diventare quanto prima ostetrici della negazione della negazione:
«Il modo di appropriazione capitalistico che nasce dal modo di produzione capitalistico, e quindi la proprietà privata capitalistica, sono la prima negazione della proprietà privata individuale, fondata sul lavoro personale. Ma la produzione capitalistica genera essa stessa, con l’ineluttabilità di un processo naturale, la propria negazione. È la negazione della negazione. E questa non ristabilisce la proprietà privata, ma invece la proprietà individuale fondata sulla conquista dell’era capitalistica, sulla cooperazione e sul possesso collettivo della terra e dei mezzi di produzione prodotti dal lavoro stesso. La trasformazione della proprietà privata sminuzzata poggiante sul lavoro personale degli individui in proprietà capitalistica è naturalmente un processo incomparabilmente più lungo, più duro e più difficile della trasformazione della proprietà capitalistica, che già poggia di fatto sulla conduzione sociale della produzione, in proprietà sociale. Là si trattava dell’espropriazione della massa della popolazione da parte di pochi usurpatori, qui si tratta dell’espropriazione di pochi usurpatori da parte della massa del popolo.» K. Marx, Il Capitale, I, VII, 24
E perché questo? Perché la sirena liberale illude gli individui che sia compito dell'individuo farcela, superare gli esami richiesti dal sistema, imporsi e diventare quello che in fondo altri, col loro talento, sono diventati. Uno su mille per mille ce la fa, ma come è dura 'sta stronzata.

«Se si considerano rapporti sociali che generano un sistema scarsamente sviluppato di scambio, di valori di scambio e di denaro, o ai quali corrisponde un grado non sviluppato degli stessi, è chiaro sin dal principio che gli individui, benché i loro rapporti appaiano più personali, entrano in relazione reciproca solo in quanto individui in una certa determinatezza, come signore feudale e vassallo, come proprietario fondiario e servo della gleba ecc., oppure come membri di caste ecc., o come appartenenti a un ceto ecc. Nel rapporto di denaro, nel sistema di scambio sviluppato (e questa apparenza seduca la democrazia) i vincoli di dipendenza personale, le differenze di sangue, di formazione ecc. sono effettivamente saltati, lacerati (i vincoli personali si presentano almeno tutti come rapporti personali); e gli individui sembrano indipendenti (questa indipendenza che è pura illusione e più correttamente andrebbe chiamata indifferenza), sembrano liberamente entrare in contatto reciproco e scambiare in questa libertà; si presentano però in questa luce solo a chi astrae dalle condizioni, dalle condizioni di esistenza (e queste sono a loro volta indipendenti dagli individui e, pur essendo generate dalla società, appaiono quasi come condizioni naturali, ossia incontrollabili dagli individui) nelle quali questi individui entrano in contatto. La determinatezza, che nel primo caso appare come una limitazione personale dell'individuo da parte di un altro, nel secondo si presenta sviluppata come una limitazione materiale dell'individuo da parte di rapporti da esso indipendenti e riposanti in se stessi. (Poiché il singolo individuo non può spogliarsi della sua determinatezza personale, ma può benissimo superare rapporti esterni e subordinarli a sé, nel secondo caso la sua libertà sembra maggiore. Un'analisi più precisa di quei rapporti esterni, di quelle condizioni, rivela però l'impossibilità per gli individui di una classe ecc. di superarli in massa senza sopprimerli. Il singolo può casualmente aver ragione di essi; non può invece farlo la massa di coloro che ne sono dominati, giacché il loro puro e semplice sussistere esprime la subordinazione, e la subordinazione necessaria degli individui ai rapporti stessi). Questi rapporti esterni non sono affatto un'abolizione dei “rapporti di dipendenza”, ma sono anzi soltanto la dissoluzione degli stessi in una forma generale; sono piuttosto l'elaborazione del fondamento generale dei rapporti di dipendenza personali. Anche qui gli individui entrano in relazione reciproca soltanto come individui determinati. Questi rapporti di dipendenza materiali, in antitesi con quelli personali (il rapporto di dipendenza materiale non è altro che l'insieme delle relazioni sociali che si contrappongono autonomamente agli individui apparentemente indipendenti, ossia l'insieme delle loro relazioni di produzione reciproche divenute autonome rispetto a loro stessi), suscitano anche l'impressione che ora gli individui siano dominati da astrazioni, mentre in precedenza dipendevano gli uni dagli altri. L'astrazione o idea non è però altro che l'espressione teorica di quei rapporti materiali che esercitano il dominio su di essi. Naturalmente i rapporti possono venire espressi soltanto sotto forma di idee, e così i filosofi hanno individuato la peculiarità dell'epoca moderna nel suo essere dominata da idee e hanno identificato la creazione della libera individualità con l'abbattimento di questo dominio delle idee. Dal punto di vista ideologico l'errore era tanto più facile da commettere, in quanto quel dominio dei rapporti (quella dipendenza materiale, che d'altronde si rovescia a sua volta in rapporti di dipendenza personali, solo spogliati di ogni illusione) nella coscienza degli individui stessi si presenta come dominio di idee, e la fede nella perennità di queste idee, ossia di quei rapporti di dipendenza materiali, viene naturalmente rafforzata, alimentata e inculcata in ogni modo dalle classi dominanti.
(Di fronte all'illusione dei “rapporti puramente personali” dell'epoca feudale ecc., non si deve naturalmente dimenticare neppure per un istante 1) che questi stessi rapporti all'interno della loro sfera in una determinata fase assunsero un carattere materiale, come dimostra ad esempio lo sviluppo dei rapporti di proprietà fondiaria a partire da rapporti di subordinazione puramente militari; 2) che però il rapporto materiale a cui si riducono ha esso stesso un carattere limitato, determinato dalla natura, e appare quindi come rapporto personale, mentre nel mondo moderno i rapporti personali emergono come pura emanazione dei rapporti di produzione e di scambio. »
Karl Marx, Grundrisse, Quaderno I, edizione Einaudi, pag 95-97


1 commento:

Marino Voglio ha detto...

"che fare" è evidente - certo restano i problemi "come" e "chi".
Marino Gavrilovic Voglieskij