domenica 8 giugno 2014

Digitando poesia seminudo

Bukowski

Ho praticamente smesso di scrivere poesia perché m'affatica uscire da me stesso in versi, come se dovessi portarmi sulla china dell'essere – e una volta in cima rotolare giù, macigno di Sisifo.

Non posso più ripetere l'esercizio, cercare la virtù nel vizio. Quindi resto a terra e accetto la caduta nel tempo (disse un Cioran in guerra con le disposizioni del Creatore).

La poesia sfiora le cose in apparenza, ma invero i suoi raggi penetrano l'essenza delle cose (intanto sul prato uno scarafaggio mi percorre con estrema competenza).

Sempre sul prato: seduto tra campanule, fiordalisi e rari papaveri mi diletto a sfiorare petali in arpeggio: ne esce fuori la tua voce, al telefono.


Se questo incanto non lo traduco in versi è perché non voglio andare troppe volte a capo. Di più: vorrei trasformarlo in una semiretta, una volta capito da quale punto farla partire.

(Penso di averlo capito, anche se, in realtà, il punto sono due punti che si trasforma in uno).

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