lunedì 13 luglio 2015

Made in Germany

Questa sera non sono solvibile: neanche trovassi un tedesco – o una tedesca, meglio – che mi offrisse una ristrutturazione del debito esistenziale...

§§§
Io, in Germania, ci sono stato solo una volta, a Ruhpolding, nelle alpi bavaresi, era estate, metà anni Ottanta, una gita organizzata dal comune perché il comune dove abito era (è) gemellato da tempo con una cittadina tedesca e allora si facevano queste gite per fare incontrare i giovani dei due comuni, in nome dell'Europa dei popoli. Io andai, più o meno solo, cioè senza il gruppo degli amici che di solito frequentavo. Tuttavia, qualcuno conoscevo, anche se mi toccò dividere la camera con un ragazzo che non conoscevo.
In questa cittadina delle alpi bavaresi, per l'appunto, alloggiavamo in un bell'albergo occupato per intero dalla nostra comitiva, più da quella composta da ragazzi tedeschi più o meno nostri coetanei. Ricordo vagamente il primo impatto coi teutonici, brindelloni dai polpacci giganti, mediamente più grossi di un paio di taglie rispetto a noialtri segaligni. Chiaramente, l'occhio corse in cerca delle fanciulle – essendo le nostre italiche poche, scacie e parrocchiali; ma anche le tedesche sembravano giovani marmotte perlopiù. Qualcuna c'era, una in particolare molto carina, non troppo alta, forme notevolmente flessuose e sode, che subito attirò le occhiate del reparto segaligni.
Posati i bagagli, gli accompagnatori ci sciolsero per le vie del paese per socializzare. Una birreria ci accolse a stento e subito vidi un gruppetto dei nostri a sbavare dietro alla biondina, che rideva delle buffonate dei primi castroni che ci provavano. Uno di questi, mio mentore, nel senso che durante il viaggio, in pullman, si prese la briga di fare le presentazioni perché – ripeto – non tutti noi ci conoscevamo, e che mi presentò al gruppo come un poeta e un sagace umorista perché s'era sparsa la voce che io, una volta, in discoteca, a una che domandai qual fosse il suo nome, e che mi rispose: «Levatidallepalle», replicai: «Accidenti che nome lungo». E vabbè, mi fece sentire importante. Comunque, dicevo, il mentore fu uno dei più attivi nell'attacco frontale alla signorina, la quale rideva forte delle stupidaggini maccheroniche che le diceva e io, nel ritorno a piedi verso l'albergo, credetti proprio che, per lui, fosse quasi fatta. E invece.
Nell'approssimarsi all'ingresso, il mentore mi si avvicinò e mi disse, mestamente: «Luca, quella, la biondina, ha detto che gli piaci, che vorrebbe conoscere te.»

Io?

6 commenti:

melusina ha detto...

E... ?
:)

lozittito ha detto...

il baffo (anche se solo in potenza), si sa, è sciupafemmine

Olympe de Gouges ha detto...

cazzo, se sapevi la sua lingua era la volta buona che potevi usare la tua

Marino Voglio ha detto...

+1 melusina

Luca Massaro ha detto...

@ Mel e, di sponda, a Marino.
Ora vedo se stasera riesco ad andare + afanti.

@ Olympe de Gouges
La lingua sarà, appunto, prevedibilmente, uno dei temi da affrontare nel prosieguo.

@ Lozittito
Benvenuto. Inoltre: bella scoperto il tuo blog. Lo metto subito tra i feed.

caino ha detto...

A parte la lingua ,che e'sempre importante,in Germania ci sono stato pure io,una volta,a Dusseldorf, con brevi puntate a Colonia,Bon, Essen.
Ironia della sorte visitai la Mannesman,ove mica poi troppi anni prima mio padre partecipo'coattamente a 12 ore al giorno ,senza festivita' al primo tentativo di fare l'Europa unita;a sua insaputa,dopo due anni di ferie in Montenegro,pagate dallo Stato.

Le teutoniche Beh ,carine,sapevano gia'parlare tutte un prfetto inglese,mentre io ero solo ai primi approcci...ecco perche'la lingua e'importante in tutti i sensi.