lunedì 17 giugno 2013

Poco umano

Io non sono capace, mi dispiace tanto, non ce l'ho fatta, ho avuto un moto di ribrezzo, forse di spavento, come se dovessi toccare qualcosa di contagioso. Devi avere pazienza, non ero preparato, la mattinata era bella, il sole caldo da presto, messo in mostra l'abbronzatura alle braccia e il muscoletto da carciofo senza spine. Saluti, strette di mano, sorrisi, commiati, qualche lacrima di conferma di un affetto determinato da una quotidianità che oramai è solo un ricordo. E voi ragazzi laggiù che mi chiamate come fossi un eroe da acclamare, state calmi, non sono così come voi pensate, sono peggio, e subito ve lo dimostro. 
Ecco, sono quello lì sullo stipite della porta ad aspettare e salutare, con un sorriso predisposto di giovialità, quando, eccoti, non mi ricordo il tuo nome, so che ci conosciamo perché in pratica lavoravamo, con due compiti diversi, in uno stesso posto, tu eri sempre gentile e io pure, quelle conoscenze senza significato ma cordiali, di lavoro insomma, senza nessuna pretesa, e ti rivedo dopo alcuni anni, riconosco i lineamenti deformati del viso tumefatto, due guance che sembrano due mongolfiere rosse, il mento sorretto da una specie di sostegno metallico che si collega ad un busto, il collo rincarcagnato, la testa zuccata da una specie di papalina color carne, la nuca completamente calva, e due occhi come due quelli di due pesci imprigionati in un acquario, che mi fissano e non mi mollano, mi chiedono senza voce una supplica, una spiegazione, e io rimango muto, dentro me un rapido collegamento mi fa pensare che questo non può essere frutto di un incidente, dev'essere qualcosa di più e di diverso, una lunga malattia, un cancro, ma che cazzo, io non ce la faccio a chiederti il perché sei ridotta così, mi limito a un timido e insulso "come va", ma subito devio il discorso, non mi ricordo neanche il tuo nome, capisci, e tu sì, mi chiami per nome, mi dici che sono ingrassato, mi chiedi come mi trovo nel posto di lavoro dove ora sono, tu pensa, e io che ti dico, ma non ti dico, non escono le parole, le parole le parole te le scrivo ora, che non esiste che il male di merda possa questo sulle persone, che le costringa a una prigione di merda, a una vita di merda, a una sofferenza inutilmente di merda, lasciami andare le mani, ti prego, non ne posso più, non riesco più a guardare la tua faccia, devo uscire, devo lavarmi la mani, devo bere, allontanarmi, correre.

5 commenti:

Minerva ha detto...

Invece accade. Quindi approfittane per correre, ora, e intanto forse un giorno troverai le parole per confortare anche in queste situazioni, anche se non ricordi più un nome, anche se tutto questo ti fa paura. Sai, a volte basta avere la forza di stare dentro quel "come stai" continuando ad ascoltare, e svillupando la sensibilità per intuire dove si può far leva per dire ciò che quella persona ti sta chiedendo di dirle...

Luca Massaro ha detto...

Grazie dei cari suggerimenti, ma in quel momento non mi sono piaciuto, mi sono sentito un verme che non sapeva da che parte strisciare.

siu ha detto...

Mentre leggevo mi sono a tal punto immedesimata da essere portata a credere che al posto tuo avrei agito, non agito, più che altro sentito allo stesso modo. Per quel che vale, cioè niente (o forse a stabilire che essere di merda lo possono anche le reazioni, non so...).

Hombre ha detto...

Sei molto umano, invece. E la difficoltà di queste situazioni ci aiuta a crescere per fare un passo in più la prossima volta.

Luca Massaro ha detto...

@ Siu ed Hombre:

grazie.