Talvolta, nel flusso di parole che mi
attraversano, cerco sostantivi che, come proteine, informino la mia
vita che passa: è per questo che sono così magro intellettualmente
(e non solo)?
Talaltra, di contro, mi chiedo, delle
parole che esprimo chissà quali e quante restituiscono la sostanza
di quel che sono – ma questa è una preoccupazione? No.
Parlando, scrivendo, ho come
l'impressione di cuocere me stesso, di girarmi arrosto, di stufarmi.
E se mi stufo, parlo di me a crudo, sapendo che parlare senza la
finzione della cottura offre subito se stessi ai denti altrui che
croccano la mia testa di rapa.
Ho qui del sale, in caso di insipienza.
Parlare come estensione del corpo. Io
amo molto le parole specchio che riflettono le mie debolezze e
viceversa. Viceversa che?
Oggi pomeriggio, dopo il bagno turco,
asciugandomi, osservavo il mio pene penzolante e cercavo di
interpretarlo, di comprenderne le ragioni. E, al contempo, mi
chiedevo: ho la stessa attenzione, la stessa cura verso altre parti
del mio corpo? No. E dunque: come può un uomo essere
autenticamente democratico se già in se stesso, verso le parti del
proprio corpo, transige ai principi sanciti dalla Costituzione,
privilegiando una parte e trascurando il resto? Poveri stinchi,
poveri gomiti, poveri lobi cosa avete voi in meno del batacchio mogio
mogio che invoca diuturnamente carezze, parole e immagini come un
tribuno invoca il popolo?
Ad avere un dittatore in pugno non bastano i colpi di mano. Bisogna farlo fuori o esiliarlo.
A dar retta alla Chiesa Cattolica, io avrei scelto la via di Colono.
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