«“Fa parte della mia fortuna - scriveva Nietzsche nella Gaia Scienza - non possedere una casa”». E oggi si dovrebbe aggiungere: fa parte della morale non sentirsi mai a casa propria. Questo dice qualcosa del difficile rapporto in cui il singolo si trova con la propria proprietà, finché possiede ancora qualcosa. L'arte dovrebbe esprimere e mettere in evidenza proprio questo: che la proprietà privata non ci appartiene più, nel senso che la quantità di beni di consumo è potenzialmente diventata così grande che nessun individuo ha più il diritto di attaccarsi al principio della sua limitazione; ma che si deve possedere qualcosa se non si vuol cadere in quello stato di dipendenza e di bisogno che torna a vantaggio della cieca persistenza del rapporto di possesso. Ma la tesi di questo paradosso conduce alla distruzione, ad una fredda insensibilità per le cose, che non può non rivolgersi anche contro gli uomini, e l'antitesi è - nell'istante stesso in cui è formulata - un'ideologia per coloro che, con cattiva coscienza, vogliono conservare il proprio. Non si dà vera vita nella falsa.». Theodor W. Adorno, “Asilo per senzatetto”, in Minima moralia, Einaudi, Torino 1954
Nessun individuo ha il diritto di attaccarsi al principio della decrescita se prima non dimostra, coi fatti, di decrescere lui stesso, disfacendosi delle cose che lo hanno fatto crescere o in cui è cresciuto, la casa per esempio, ma non solo: egli deve privarsi di tutta la sua proprietà privata, restare praticamente “nudo” per contrastare, nel suo piccolo, la sovrapproduzione. Dalla riduzione dei consumi e degli sprechi all'ascesi il passo è breve: in ogni decrescitore si nasconde un discepolo di Schopenhauer, una persona che vuole ridurre in toto le dipendenze dal superfluo e quindi concentrarsi soltanto sulla propria vita per nolere, il contrario di volere. E una volta liberi dal bisogno e dal desiderio di crescere, a Nirvana pressoché raggiunto, mettersi buoni buoni a far la fila all'Apple Store.
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