Da qualche parte, non mi ricordo dove, lessi che l'Uomo senza qualità (Ulrich) è tale perché uomo senza qualifiche, ovverosia uomo privo delle qualità richieste per essere un uomo qualitativamente ben addestrato e inserito dentro i meccanismi del contesto storico-sociale in cui gli è dato vivere.
Beh, valga o meno questa definizione del protagonista del capolavoro di Musil, è un fatto che essa vale, e molto, per me. Certo, io rispetto a Ulrich non mi posso permettere di fare l'ozioso e di prendermi un intero anno di vacanza dalla vita. In buona sostanza: se prendessi un anno di aspettativa non remunerata dal lavoro, l'unico modo che avrei per campare sarebbe di lavorare da un'altra parte o di vivere di elemosina. Niente da fare, dunque: mi accontento di due mesi di vacanze all'anno. Anche perché
«Negli anni della maturità pochi uomini sanno, in fondo, come son giunti a se stessi, ai propri piaceri, alla propria concezione del mondo, alla propria moglie, al proprio carattere e mestiere e loro conseguenze, ma sentono di non poter più cambiare di molto. Si potrebbe sostenere persino che sono stati ingannati; infatti è impossibile scoprire una ragione sufficiente per cui tutto sia andato proprio così come è andato; avrebbe anche potuto andare diversamente; essi hanno influito pochissimo sugli avvenimenti, che per lo più sono dipesi da circostanze svariate, dall'umore, dalla vita, dalla morte di tutt'altri individui; e solo in quel dato momento si sono abbattuti su di loro. Quand'erano giovani la vita si stendeva loro dinanzi come un mattino senza fine, colmo di possibilità e di nulla, e già al meriggio ecco giungere all'improvviso qualcosa che pretende di essere ormai la loro vita; e tutto ciò è così sorprendente come vedersi davanti tutt'a un tratto una persona con la quale siamo stati vent'anni in corrispondenza, senza conoscerla, e ce la siamo immaginata completamente diversa. Ancora più strano, però, che quasi nessuno se ne accorga; adottano la persona che è venuta a loro, la cui vita s'è incorporata alla loro vita, giudicano le sue vicende ed esperienze ormai come le espressioni delle loro qualità, e il suo destino diventa merito o disgrazia loro. Qualcosa ha agito nei loro confronti come la carta moschicida nei confronti d'una mosca; qui ha imprigionato un peluzzo, là ha bloccato un movimento, e a poco a poco li ha avviluppati, finché son sepolti in un involucro spesso che corrisponde solo vagamente alla loro forma originale. E non hanno più che un ricordo confuso della giovinezza, quando c'era in loro qualcosa come una forza opposta.» [stanco di ricopiare, mi fermo. Se vi va, leggete sino al «grande Tal dei Tali».]
Robert Musil, L'uomo senza qualità, Einaudi, Torino 1958 (trad. it. Anita Rho) |
Confessione serale: questo senso esatto di non poter più cambiare di molto, beh, io non lo vivo come una sconfitta. Autocompiacimento? Accidia? Timore? Non si può compiere un serio tentativo di autoanalisi in poche battute. Le componenti della mia (presunta) saggezza o (probabile) impotenza posso rintracciarle e nella mia indole, e nel passato, nella mia presa di coscienza di essere al mondo, unitamente alla posizione sociale che la mia famiglia occupa(va) nel mondo. E tuttavia questo sentimento non mi preclude né disgusta il vivere, non me lo annoia, forse perché ancora mi piace avvilupparmi nei peluzzi di un mondo sempre più depilato.
4 commenti:
Anche a me.
Forse perchè, al contrario di quel che dice lo scritto che riporti, ricordiamo esattamente ogni bivio, ogni scelta, e ogni situazione, stato d'animo, limite esterno ed interno, che quella scelta in quel dato momento ha prodotto; e sappiamo che quella era l'unica scelta possibile per quel che eravamo in quel momento, anche se ora siamo, poco o tanto, diversi e quel che ne è scaturito non era proprio quello che avevamo immaginato.
Si chiama vivere, io credo; e chi ama vivere non ha tempo da perdere con il rimpianto..
E scusami se ho usato il plurale, avrei dovuto usare il singolare, che non so nulla di te e meno ancora tu sai di me, ma mi sono così specchiato nelle tue parole da sentirci, in questo, uniti.
Ad majora.
Grazie. In questi casi il "noi" è indispensabile.
M'intrufolo con tutti e due i piedi nel "noi".
Ho pensato: come faccio ad arrivare al grande Tal dei Tali se non mi dice la pagina? E che, mi devo mettere a leggere quel libro che non ho mai capito - anzi, che non mi ha mai preso - fino a che non trovo questo passaggio? Poi ho guardato la foto, e ho capito: che forza! Ho letto da lì, dalla foto: geniale. Sì, sì, una sciocchezza, però ho capito che tu con quell'Ulrich non hai più di tanto in comune. Ho letto, divertito, fino alla tua indicazione - del resto finiva la foto, subito dopo. Mi ha toccato quell'inciso - vedi? le riletture servono!- "Solo da questo dipende - pensò Ulrich..."
Pensò, Ulrich. Uno pensa, che le cose stiano come il suo pensiero gli porta a pensare che stiano - è inevitabile, però è meglio averlo molto presente, questo fatto. Solo da questo dipende - pensò.
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