«Le rivoluzioni [le
rottamazioni] le fanno gli uomini in carne e ossa, non i santi, e
tutte finiscono per creare una nuova casta privilegiata. Io le posso
assicurare che, se non avessi saputo approfittare delle circostanze e
ancora fossi là, a lavorare i campi del Michoacán come mio padre,
non mi lamenterei. Il fatto è che sono qui e sono più utile al
Messico come imprenditore che come contadino. E ci sarebbe un altro a
pretendere quelle prebende, a occupare il posto che io occupo, a fare
quello che faccio io. Anche noi eravamo parte del popolo, e le nostre
case, i nostri giardini, le nostre automobili, in un certo senso,
erano il trionfo del posto. Inoltre, questo è un paese che si
addormenta molto presto, però si sveglia anche all'improvviso: chi
avrebbe saputo dire, in quei giorni, che cosa sarebbe successo
l'indomani? Bisognava mettersi al sicuro. E per riuscirci, ce la
siamo giocata. Niente a che vedere con quella politichina facile di
adesso. Allora, in primo luogo, c'era il bisogno di palle, in secondo
luogo di palle, in terzo luogo di palle. Per fare affari, dovevi
essere dentro fino al collo nella politica ed essere molto
coraggioso. Allora non c'erano imprese a partecipazione americana che
ti proteggevano contro qualsiasi eventualità. Allora ce la giocavamo
ogni giorno. E così ci siamo inventati il potere, Cinefuegos, il
vero potere messicano, che non si basa sull'uso della forza. Lo può
vedere anche lei com'è diventata falsa l'immagine del messicano
sottomesso alla tirannia. Non occorre. Lo dimostra il fatto che da
trent'anni non ci sono più atti proditori. Quello di cui c'era il
bisogno era un'altra cosa: arrampicarsi fino al collo del paese,
piegare gli altri, diventare i grandi opportunisti. Così, senza
rischio di rivolte, ottieni ammirazione. Niente è più ammirato in
Messico di un grande opportunista.»
Carlos Fuentes,
L'ombelico della luna, (titolo
originale, La región más transparente, 1958),
ed. italiana il Saggiatore, Milano 2000 (traduzione di G. Quintero e
L. Dapelo, pag. 105-6)
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