«La
poesia e la fogna, due problemi / mai disgiunti». Gottfried Benn, Morgue*
La poesia ha perso peso perché non è più a cielo aperto, scorre sotterra, non è più gettata fuor di finestra: al pari delle deiezioni, finisce negli scarichi, un colpo di sciacquone e addio, fischi nel buio, cenni, tosse e sportelli abbassati...
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Mai come oggi il linguaggio del potere ha assunto una natura antipoetica: è comprensibile da tutti, di primo acchito; per esempio, Renzi, quando parla, lo capisce anche un bambino, non ha bisogno di parafrasi, di traduzioni, del Battaglia. Soprattutto: non ha bisogno di una seconda lettura, di un secondo ascolto, le parole che dice scivolano via come le acque chiare e le acque scure. E non c'è niente di più antipoetico di un parlare che non ha bisogno di essere riletto, ridetto, ripensato.
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Io quando parlo, mi capisco? Quando scrivo, mi comprendo? Non è tanto il giocolare, c'è tanta serietà, vedeste il cipiglio, tipo quello del carabiniere che guarda le tette all'Efe.
«Lo stesso bisogno dell'aria aperta cessa di essere un bisogno nell'operaio; l'uomo ritorna ad abitare nelle caverne, la cui aria però è ormai viziata dal mefitico alito pestilenziale della civiltà, e ove egli abita ormai soltanto a titolo precario, rappresentando esse per lui ormai una estranea potenza che può essergli sottratta ogni giorno e da cui ogni giorno può esser cacciato se non paga. Perché egli questo sepolcro lo deve pagare. La casa luminosa, che, in Eschilo, Prometeo addita come uno dei grandi doni con cui ha trasformato i selvaggi in uomini, non esiste più per l'operaio. La luce, l'aria, ecc., la più elementare pulizia, di cui anche gli animali godono, cessa di essere un bisogno per l'uomo. La sporcizia, questo impantanarsi e putrefarsi dell'uomo, la fogna (in senso letterale) della civiltà, diventa per l'operaio un elemento vitale. Diventa un suo elemento vitale il completo e innaturale abbondono, la natura putrefatta». Karl Marx, “Bisogno, produzione e divisione del lavoro”, Terzo Manoscritto, in Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino 1968 (a cura di Norberto Bobbio).
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*Ho trovato il verso in una lettura di Mario Bortolotto, Consacrazione della casa, Adelphi, al quale debbo anche il ricordo en passant di Petrassi. Un doppio Goffredo, dunque.
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