«E
ora non bisogna nascondersi ciò che si cela nel grembo di questa
cultura socratica! Un ottimismo che si crede senza limiti! Ora non
bisogna spaventarsi se i frutti di quest'ottimismo maturano, se la
società, fatta lievitare fin nei più profondi strati da una
siffatta cultura, trema gradualmente tra rigogliosi ribollimenti e
bramosie, se la fede nella felicità terrena di tutti, se la fede
nella possibilità di una tale civiltà universale del sapere si
converte a poco a poco nella minacciosa pretesa di possedere una tale
felicità terrena alessandrina, nell'evocazione di un euripideo deus
ex machina! Si noti bene: la
cultura alessandrina ha bisogno, per poter esistere durevolmente, di
una classe di schiavi; ma essa, nella sua concezione ottimistica
dell'esistenza, nega la necessità di una tale classe e va perciò
gradualmente incontro, quando sia esaurito l'effetto delle sue belle
parole di seduzione e di rassicurazione della “dignità dell'uomo”
e della “dignità del lavoro”, a un'orrenda distruzione. Non c'è
niente di più terribile di una classe barbarica di schiavi che abbia
imparato a considerare la sua esistenza come un'ingiustizia e che si
accinga a far vendetta non solo per sé, ma per tutte le generazioni.
Chi oserà, contro tali minaccianti tempeste, fare appello con animo
sicuro alle nostre smorte e stanche religioni, che sono degenerate
fin nelle loro fondamenta in religioni dotte? In questo modo il mito,
presupposto necessario di ogni religione, è già dappertutto
paralizzato, e anche in tale sfera ha preso il sopravvento quello
spirito ottimistico che abbiamo or ora indicato come il germe
distruttivo della nostra società.»
Friedrich
Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi,
Milano 1990, pag. 120-121 versione di Sossio Giametta.
Di passata, si potrebbe obiettare a Nietzsche che l'islam ancora tanto smorto e stanco non è, visto il fermento integralista che lo anima e la (conseguente?) forte presa sulle masse - ma non è questo il punto, mi sembra limitato focalizzare l'attenzione di quanto sopra scritto sulle religioni dotte.
Opportuno, invece, mi sembra individuare nella cultura alessandrina la cultura borghese tout court, la quale, precipitata nel pozzo delle sue contraddizioni, ha «esaurito l'effetto delle sue belle parole di seduzione e di rassicurazione della dignità dell'uomo e della dignità del lavoro»; malauguratamente, quindi, date le promesse mancate, la cultura borghese ha scatenato le «minaccianti tempeste» delle orde barbariche che si accingono a far vendetta. Questo, intuisce Nietzsche, contiene in sé «il germe distruttivo della nostra società», la quale, rispetto alle società arcaiche, non può più giocare il jolly del capro espiatorio che convoglia su di sé la rabbia e la violenza della folla (è per tale ragione che «il mito, presupposto necessario di ogni religione, è già dappertutto paralizzato»)*. La violenza rimane in campo, non può che essere parzialmente circoscritta dentro i confini del rito (i rituali moderni di vario tipo non sono certo efficaci come quelli d'antan), ma si fa fatica a trattenerla, può esplodere e invadere la società da un momento all'altro.
Orbene, se non si può «fare appello» al religioso, a chi rivolgersi? Alla politica? All'economia? Oppure alla Critica dell'economia politica?
*Per questo, se non erro, a Nietzsche non sarebbe dispiaciuto un ritorno ai sacrifici umani.
2 commenti:
Leggendo questo tuo post, a un certo punto ho capito - non so mediante quali sconnessi nessi - che il berlusconismo è una religione. Sembra un fenomeno politico, ma non lo è: le sue strutture portanti, la sua sostanza, sono religione.
In parte lo credo anch'io, restando tuttavia perplesso sul fatto che non riuscirò mai a comprendere come si possa adorare un dio così...
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