Alison Brady |
Sono tornato, cioè, non ora, no, ieri notte, ci ho persino dormito sopra, male, non certo per la serata, ma per una fottuta pasta e fagioli presa al ristorante che ha messo in subbuglio meteoritico le vie intestinali, e comunque, ecco, io non sono portato, versato, predisposto per fare politica attiva, nel senso di impegnarmi per governare (amministrare), in piccolo, in piccolissimo, in sedicesimo, la polis, in qualsiasi settore, anche in quelli per i quali potrei avere qualche idea (ma quale idea, non vedi che lei non ci sta), non ce la faccio, in primo luogo, da un punto di vista lessicale, dover stilare programmi, impegnative, magari delibere, protocollare, ma soprattutto: riconosco i miei limiti, limiti dovuti alla presa del reale, i suoi fianchi, non riesco a sentirli, mi sfuggono sempre i fianchi del reale.
Quando sento parlare di realtà economica e sociale, di sviluppo, di finanziamenti in più dovuti a, di vocazione turistica, di categorie sociali suddivise per settori a compartimenti stagni (artigiani, commercianti, liberi professionisti, pensionati, operai, disoccupati, studenti, agricoltori, eccetera), mi sento girare in tondo, impotente.
Mi sembra che sì, in qualche modo, si ha la contezza di essere il prodotto di determinate condizioni storiche e sociali, e tuttavia, à la fois, che il subirle e viverci sia naturale, che ad esse si può solo adattarsi, plasmarsi, impossibile tentare di modificarle, anche solo immaginarlo è diventato un tabù.
Certo, il contesto di cui parlo è piccolo, piccolissimo, in sedicesimo. Eppure esso mi dà l'impressione che l'umanità viva una pericolosa fase di stallo evolutivo, chiamata altresì rassegnazione.
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