domenica 1 marzo 2015

L'attesa di un'occorrenza

Non avrei mai pensato ritrovare quello che non avevo perso. O perdere quello che non avevo. Soluzione: il vuoto, mio rappresentante anticommerciale, cerca di spacciare quel poco pensiero che si ostina a presentarsi quotidianamente per eccedere il trascorrere del tempo; tempo rilegato a vari adempimenti che, in pratica, sono quasi tutte rotture di coglioni, dalla sussistenza all'assistenza, dall'espletamento delle funzioni corporali alle relazioni di prossimità. Uff. In fondo, vivere è più o meno questa roba qua, fare cose (doveri, piaceri) e poi vagliarle al setaccio del ricordo per vedere quali pepite la mente sfoggia o butta nella spazzatura dell'inconscio.
Stasera però non ho alcuna intenzione di fare il gioielliere o il netturbino.

«134. “Non si può dire tutto” (Descombes, 1977) – Deluso? Lo desiderava? O almeno qualcosa, “il linguaggio”, lo voleva? Dispiegare tutta la sua potenza? Una volontà? Una “vita”? Un desiderio, una mancanza? Teleologie del compimento, melanconie dell'incompiuto. – Ma lei ammetteva che “qualcosa richiede di essere messo in frase”? – Ciò non implica che tutto debba o voglia esser detto. Ciò implica l'attesa di un'occorrenza, del “prodigio” che, appunto, tutto non sia stato detto. La veglia. Questa attesa è nell'universo di frase. È la “tensione” specifica che ogni regime di frase esercita sulle istanze». Jean François Lyotard, Il dissidio, Feltrinelli, Milano 1985


Farò il turista che gira nel centro cittadino e osserva, appunto, la vetrina dei preziosi e, con la coda dell'occhio, lo spazzino, che raccoglie cartacce, cicche, scontrini, peli e cacche di cani a passeggio col padrone. È uno spazzino di età indefinibile, aria né triste né lieta. Ha appena bevuto una doppia vecchia romagna, a metà mattino, quasi a digiuno, aveva preso sinora soltanto un caffè macchiato, all'alba. Da un po' di tempo beve, troppo, per stordirsi: mandare giù quel lavoro, dimenticare una donna. Tale donna, che non rivede da tempo, gli passa accanto, proprio quel mattino, abbracciata ad un altro, non accorgendosi della sua presenza (è difficile guardare negli occhi chi indossa tute da lavoro catarifrangenti arancione). I due suonano il campanello, il gioielliere gli apre, entrano nel negozio. Lo spazzino si blocca. Il reflusso esofageo della vecchia romagna, mescolato ai ricordi, gli provoca un subitaneo conato – vomita di brutto davanti all'ingresso del negozio di gioielli e sviene. Di lì a poco, arriva il centodiciotto e, proprio nell'attimo in cui lo spazzino viene caricato nell'ambulanza, la donna, con l'uomo ancora al suo fianco, esce dal negozio, calpesta il vomito, scivola e cade col culo sopra di esso – e ricorda.

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