lunedì 16 marzo 2015

E le mani degli italiani?

 
Al Waleed
C'è chi si scandalizza (a scoppio ritardato) su certi tipi di compravendite - e concentra l'attenzione soltanto sul lato della compera; non sono assolutamente nominati, infatti, i nomi delle mani italiane che ben volentieri hanno intascato i soldi degli arabi.

Gli scandalizzati sono gli stessi che, sempre ben volentieri, sostengono sia in atto uno scontro di civiltà e si ergono a paladini dei valori occidentali. 

Beati i cantori delle stronzate dei signori.

Nessun cantore, ahimè, ha mai cinguettato domande del tipo: perché non conviensi ai diseredati arabi (morti di fame e di fede) rivolgersi contro i loro padroni schiavisti, e invece di far guerra per un kydos¹ inutile, vanno diretti a mungere le palle degli emiri?

Perché Arabbie saudite, Emirati e sultanati vari sono strutture dissipative funzionanti. Espellono altrove le dannose scorie che potrebbero causare seri danni ai loro organismi (feudali).

E se questo meccanismo auto-immunitario ancora funziona, merito è dei dottori occidentali, statunitensi soprattutto, i quali hanno tanto a cuore la salute dei loro pazienti.


Nota
¹ «Nel suo Vocabulaire des institutions indo-européennes, Benveniste traduce kydos con “talismano di supremazia”. Il kydos è il fascino esercitato dalla violenza. Ovunque si mostri, seduce e spaventa gli uomini: non è mai semplice strumento bensì epifania. Dal momento in cui appare, l'unanimità tende a formarsi, contro o attorno ad essa, il che è la stessa cosa. Provoca uno squilibrio, fa pendere il destino dall'uno o dall'altro lato. Il minimo successo violento tende ad espandersi, a divenire irresistibile. Coloro che detengono il kydos vedono decuplicata la loro potenza; coloro che ne sono privi hanno le braccia legate e paralizzate. Possiede sempre il kydos colui che ha dato il colpo più forte, il vincitore del momento, colui che fa credere agli altri e può egli stesso immaginarsi che la sua violenza ha definitivamente trionfato». René Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano 1980, pag. 201.



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