sabato 28 marzo 2015

Sono o non sono un guru?

Se internet è diffuso poco in Italia rispetto ad altri paesi è perché, nel quasi ventennio trascorso, il capitale nostrano ha continuato (e in parte continua) a dar più credito alla televisione che ad internet.  Ma da qualche tempo, diciamo dalla diffusione capillare dello smartphone, internet inizia a essere il veicolo prediletto per convogliare messaggi a carattere promozionale, perché in fondo, gratta gratta, i media servono a questo: convincere le persone a comprare certe merci (finché avranno soldi o potranno accedere al credito) o a votare certi politici (finché crederanno che votare serva a qualcosa).

Questi pensieri sono sorti dopo aver letto quanto ha dichiarato Andrew Keen, un guru della Rete (!) che si trova attualmente in Italia per alcuni incontri pubblici.
In particolare

«Con il progetto Internet.org [Zuckenberg] dice di voler portare internet ai Paesi emergenti, ma in realtà il suo scopo non è quello di dar voce a chi non ne ha una: dietro i proclami idealistici c’è una strategia commerciale mascherata da filantropia». Lasciata alle sue regole, la Rete non è un meccanismo di distribuzione di profitti, ma tende invece a concentrarli nelle mani di pochi fortunati: «È una delle maggiori accumulazioni di ricchezza della storia. Aziende come Google e Facebook vendono la nostra privacy al miglior offerente, con la pubblicità che ci segue ovunque, tagliata esattamente sui nostri gusti. E ogni volta che facciamo una ricerca o postiamo qualcosa, stiamo lavorando per loro, gratuitamente, offrendo informazioni sempre più precise per aiutarli a farci diventare un target perfetto». 


Sarò stringente perché ho fame: non c'era bisogno del guru per capire la “strategia commerciale mascherata da filantropia”. Quel che piuttosto andrebbe capito (perché forse non è mai stato spiegato abbastanza) è che l'accumulazione di ricchezza ottenuta, per esempio da Google e da Facebook, deriva principalmente da un enorme afflusso di capitale in cerca di autovalorizzazione, ben prima che dagli attuali introiti effettivi derivanti dal mercato pubblicitario. È chiaro quindi che è sempre stato improprio parlare di rivoluzione digitale, perché appena ha raggiunto una certa soglia di pubblico “globale”, internet è diventato un'ulteriore stampella a sostegno del capitalismo; e da veicolo di conoscenza a veicolo di demenza, il passaggio è stato breve.

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