mercoledì 3 settembre 2008
Gli occhi degli altri
ACHILLE: Che stai leggendo?
ULISSE: Un tipo balzano mi scrive qui: "L'uomo, per quante rare doti possieda, e ricchezza di beni esteriori o interiori, mai non potrà vantarsi di avere quello che ha, né può avere il senso di quel che possiede se non per rifrazione: come quando le sue virtù dardeggiano sugli altri, li arroventano, sicché poi rimandano quel calore alla sua prima fonte".
ACHILLE: Questo non è affatto balzano, Ulisse! La bellezza che noi portiamo sul volto, non la sa chi la porta, ma è affidata agli occhi degli altri: e neppure l'occhio, il più squisito dei nostri sensi vede se stesso, ché di se stesso non può uscire: ma se due occhi si trovano di fronte, l'uno saluta l'altro con la propria immagine contrapposta, ché la contemplazione non si volge in se stessa finché non sia trasferita e accolta là dove possa contemplarsi. Questo non è affatto balzano.
ULISSE: Io non mi impunto già sul dato, che è palmare, quanto sulla conclusione dell'autore che, nel suo assunto, sostiene in modo esplicito che nessuno è padrone di nessuna cosa - per quanta consistenza sia in lui o per mezzo di lui - finché delle sue doti non faccia partecipi gli altri: né può da sé farsene alcuna idea, finché non le veda riflesse nell'applauso che le propaga come riverbera la voce un archivolto; o una porta d'acciaio, opposta al sole, ne riceve e rimanda forma e calore.
William Shakespeare, Troilo e Cressida, Atto III, Scena 3, trad. Cesare Vico Lodovici, Einaudi, Torino, 1965.
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