giovedì 24 dicembre 2009

Dove sono finiti i fatti?

«Di fronte alla pretesa di fare della conoscenza storica un modo privilegiato di conoscenza, ci si sente in diritto di far notare che nella nozione stessa di “fatto storico” si nasconde una doppia antinomia. Giacché, per definizione, fatto storico è “ciò che è realmente accaduto”. Ma dove è accaduto qualcosa? Ogni episodio di una rivoluzione o di una guerra si risolve in una moltitudine di movimenti psichici e individuali; ognuno di tali movimenti traduce degli sviluppi incoscienti, e questi si risolvono in fenomeni cerebrali, ormonali o nervosi che ci rinviano a fatti d'ordine fisico o chimico [...] Di conseguenza, il fatto storico non è dato più di un altro qualsiasi fatto. È lo storico, o l'agente del divenire storico, a costituirlo per via d'astrazione e, per così dire, sotto la minaccia di una regressione all'infinito. Ora, ciò che è vero della costituzione del fatto storico non è meno vero della sua selezione. Anche da questo punto di vista, lo storico e l'agente storico scelgono, tagliano e ritagliano, giacché una storia veramente totale equivarrebbe al caos. Ogni angolo dello spazio nasconde una moltitudine d'individui di cui ciascuno afferra la totalità del processo storico in maniera non comparabile a quella degli altri. Per ogni singolo individuo, ciascun momento del tempo pullula di un'abbondanza inesauribile d'incidenti fisici e psichici di cui ciascuno ha il suo peso nel modo in cui l'individuo stesso si costruisce la sua idea totale della storia. Anche una storia che si voglia universale si riduce in fin dei conti alla giustapposizione di alcune storie locali all'interno delle quali e fra le quali i vuoti sono assai più numerosi dei pieni [...] La storia, in quanto aspira al significato, si condanna a scegliere certe regioni, certe epoche, certi gruppi umani e certi individui in tali gruppi, e a metterli in rilievo come figure discontinue su un continuo che serve appena da fondale¹. Una storia veramente totale si neutralizzerebbe da sé: il suo prodotto sarebbe eguale a zero. Ciò che rende possibile la storia è il fatto che un certo sottogruppo di avvenimenti si trova ad avere, per un periodo determinato, approssimativamente lo stesso significato per un certo numero d'individui [...] La storia non è dunque mai la storia, ma sempre una storia-per. Essa è parziale anche quando pretende di non esserlo, in quanto è inevitabilmente limitata, e questo è ancora un modo d'essere parziale. Nel momento in cui ci si propone di scrivere la storia della Rivoluzione francese, si sa già (o si dovrebbe sapere) che una tal storia non potrà essere, simultaneamente e allo stesso titolo, la storia del giacobino e quella dell'aristocratico. Per definizione, questi due modi di totalizzazione (dei quali ciascuno è antisimmetrico all'altro) sono egualmente veri. Bisogna dunque scegliere fra due partiti: tenersi principalmente a uno dei due modi o a un terzo (giacché ne esiste un'infinità) e rinunciare a cercare nella storia una totalizzazione d'insieme di totalizzazioni parziali; oppure riconoscere a tutti eguale grado di realtà; nel qual caso, però, si finirà con lo scoprire che la Rivoluzione francese, quale di solito se ne parla, non è mai esistita».

Claude Lévi-Strauss, Pensiero selvaggio, 1962

¹ L'editoriale di A. D'Amato e M. Senzaterra, Antiberlusconiani un cazzo, mi fa dire, in un primo momento, che loro hanno ragione da vendere. Poi m'imbatto nel brano sopra riportato e mi dico: la pietra d'inciampo berlusconiana offusca tutti i tipi di storia possibile in questo paese decandente. Finché il surreale monopolizza la realtà quest'ultima sarà messa sempre in secondo piano e i fatti non avranno luce sufficiente per essere inquadrati dalle telecamere. La loro ricerca diviene sempre più faticosa, e ancor più dare loro spazio e voce sufficienti per entrare nelle menti dei cittadini. Alla lunga, sono convinto, questo esercizio sarà l'unico modo che consentirà alla realtà di riguadagnare il primo piano. Soprattutto se sarà evitato, sempre, ogni pusillanime terzismo.

1 commento:

paopasc ha detto...

Mmm, non barare (dico d'acchito, ma non bari, in realtà).
E' vero che c'è una parte di 'storici' (leggi cittadini) che vede una storia molto influenzata dalla difesa o dall'offesa di qualcuno. La cosa mi intristisce, quasi come un dover constatare una diffusa povertà di giudizio nello scegliere i frutti più buoni. I frutti più buoni non sono, per forza, quelli più belli, e qui prendi un punto.
Ma anche te, sprecare un concetto come quello di Levi-Strauss per queste banalità nazionali.
Eppure, così va fatto, dobbiamo sporcare la pagina immacolata degli scritti, anzi, addirittura dei pensieri, con il fango delle umane relazioni, così comicamente complicate. Altro punto.
Siamo puri nei nostri desideri? Quando chiedo un piatto di minestra per me, includo, nell' orante desiderio, l'intera umanità o, goffamente, volto lo sguardo a saziarmi di nascosto?
Io, alle volte, ho desideri puri di altruismo politico,... o almeno credo. (Maledetta mente!).