«Il problema teorico al quale un liberale come Hayek deve far fronte è quello dell'articolazione fra due forme di autonomia. L'autonomia dell'individuo moderno, prima di tutto, liberata da tutti i legami di subordinazione tradizionale, al sacro, allo Stato, alla totalità sociale. In seguito, l'autonomia del sociale che non significa che gli uomini hanno il dominio sulla società, ma tutto il contrario: la società sfugge loro, essa sembra dotata di una propria vita, estranea a coloro che tuttavia la compongono. In rapporto agli individui, quindi, questa autonomia è quella tradizionale e in filosofia politica viene chiamata eteronomia. Il contrasto in rapporto all'artificialismo proprio delle altre tradizioni, liberali o meno, non è troppo apparente.
Gli uomini costruiscono (o piuttosto “agiscono”) la loro società - è la prima autonomia; ma non sanno ciò che fanno, né come lo fanno - ed è la seconda autonomia. Da una parte, l'affermazione liberale della sovranità dell'individuo in rapporto all'invasione della società; dall'altra il riconoscimento, proprio del conservatorismo e del tradizionalismo, del fatto che la società è “al di sopra” degli individui e che essa è una condizione indispensabile del loro sviluppo e della loro stessa esistenza. Il paradosso è proprio là. Queste due “autonomie”, nel senso ordinario del termine (indipendenza) si riconciliano nel senso tecnico che la parola assume nella teoria dei sistemi di auto-organizzazione, o semplicemente, nella teoria degli automi. Poiché si capisce bene che questo paradosso è lo stesso di quello che consiste nel concepire un automa, cioè un essere che ha il principio del suo movimento in se stesso; un essere che sia causa di sé, incondizionato.
Hayek ha saputo della soluzione che il grande matematico John von Neumann, l'inventore della teoria matematica degli automi, ha trovato per questo paradosso. Nel 1948, in un simposio [...] che appare retrospettivamente come uno dei momenti fondatori delle scienze cognitive, von Neumann espose tale soluzione, sotto forma di congettura. Rispondendo a Warren McCulloch, uno dei padri della cibernetica, egli criticava il percorso costruttivista di questa introducendo sulla scena scientifica la nozione di complessità. Data una macchina elementare, è più semplice descrivere ciò di cui è capace, che descrivere la macchina stessa. Al di là della soglia critica di complessità, sarebbe vero il contrario; sarebbe più facile, infinitamente più facile concepire la macchina che descrivere completamente il suo comportamento. Von Neumann fondava la sua congettura sul caso della macchina ricursiva capace [...] di produrre un insieme non ricursivo, quindi infinitamente più complesso di se stessa. Quello di cui è capace un oggetto complesso è (infinitamente) più complesso dell'oggetto stesso. La matrice è (infinitamente) superata dalla sua discendenza [...] Essere complesso significa essere in grado di rendere le cose complesse. Così von Neumann risolveva il paradosso quasi teologico dell'uomo che concepisce un automa. Essendo l'automa complesso, per definizione, la creatura sfugge al creatore».
Jean-Pierre Dupuy, Il sacrificio e l'invidia. Liberalismo e giustizia sociale, ECIG, Genova 1997
Stasera, dopo la lettura di vari post sparsi nel mio segnalibri a fianco, ho aperto questa pagina (un po' lungotta come citazione, scusate) e ho dovuto riportarla.
Ispiratori sono stati: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8. Ma soprattutto, ispiratore è stato questo strano senso d'impotenza, una sorta di pessimismo cosmico che parte dalla mia piccola miseria, che si estende a quella più grande italiana, e che s'incaglia in quella terrestre: gli occhi si alzano al cielo (sereno stanotte, stellato, freddo che taglia le guance) e vedo quello che il cielo stellato mi offre al replay di una velocità talmente lenta che il mio pensiero (il nostro) al confronto è una Ferrari. Cazzate stellari, mi fermo ch'è meglio.
3 commenti:
Nella generazione di un comportamento complesso i vari automi umani non possono non tenere conto delle reciproche influenze, sia quelle fisiche motorie immediate che quelle culturali che superano le distanze (sia spaziali che temporali). Questo aspetto limita l'espressione dei comportamenti possibili (ma anche la struttura fisica, non so la struttura cerebrale). Dunque, per me, non esiste una totale autonomia, nè penso sia possibile una eteronomia totale. Costruire senza sapere: cioè, costruiscono perchè la presenza degli altri 'obbliga', non sanno cosa costruiscono perchè non hanno presente il 'disegno generale'. Penso però che questo sia solo dei bassi livelli intenzionali, essendo, per definizione, che una condizione come quella mediata dal linguaggio simbolico, capace di disegnare, inteso come sopra, anche se solo bozzetti. Come si traduce la lenta precessione verso un'accentuazione individualistica dei diritti all'interno di un insieme di norme sempre più stringenti: la coesistenza delle due famose autonomie? La società, come colonia di umani, è un altro individuo, vive una parte solo di se stessa, e chiede la sua propria autonomia. In questo senso, condivido.
Grazie Paolo, i tuoi commenti sono sempre di notevole spessore: approfondiscono il tema e offrono numerosi spunti di riflessione.
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