giovedì 30 dicembre 2010

Il qualunquismo del Comandante Ernesto

«È così che alla fine siamo condannati a questo necessario, disperato, qualunquismo. Agli italiani non sta restando altro. Disperato perché frutto dell'attesa vana che finalmente da dove può e deve, cioè dalla politica, venga una parola di verità sul nostro oggi e sul nostro ieri. Una parola che non ci esorti - e a che cosa poi? A credere in un ennesimo partito, in un'ennesima combinazione governativa? - ma che ci sfidi: ricordandoci gli errori che abbiamo tutti commesso, i sacrifici che sono ora necessari, le speranze che ancora possiamo avere. Per l'Italia è forse iniziata una corsa contro il tempo, ma non è affatto sicuro che ce ne resti ancora molto».

Generalizziamo. È così facile, benefico, disintossicante. Uno si alza di umor nero e prende a schiaffi il rotolo della carta igienica, si fa linguaccia allo specchio, sbadiglia come l'orso Yoghi. Fa molto figo generalizzare, è un sentimento simile alla soddisfazione maschile di orinare a zampillo in uno stagno, in un fiume, in un lago, nel mare. La memoria dell'acqua conserva il nostro contributo genetico così come i preparati omeopatici conservano la memoria dei principi attivi. Paragone calzante? Non lo so, so solo che se uno, come Galli Della Loggia, addiviene ad un «disperato qualunquismo» dovrebbe avere l'onestà intellettuale di riconoscere il proprio fallimento come editorialista (opinion-maker) del più (ehm ehm) autorevole quotidiano d'Italia, in quanto non è riuscito a educare né la classe dirigente né la società civile italiane nonostante egli, coi suoi sermoni laici, abbia orinato, a zampillo, da svariati anni nelle acque dell'opinione pubblica italiana.

Infine sarei curioso di sapere cosa intende esattamente Galli Della Loggia quando dice che dalla politica bisogna aspettarsi «parole di verità» non che ci esortino (noi cittadini), ma che ci sfidino a riconoscerci equanimente responsabili dello sfascio politico-sociale d'Italia. Vale a dire, egli crede che sia sufficiente che gli attuali politici riconoscano la gravità della situazione e che se ne sentano responsabili come e quanto più di noi per infondere speranza e per far sì che essi acquistino l'autorevolezza per richiedere “sacrifici” alla cittadinanza...?
Insomma, esimio professor Ernesto, non la si fa nemmeno questa volta la rivoluzione vero?

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