Di solito, quando arrivo a fine settimana stanco, contrariato e un po' scornato, con la voglia di fare e di pensare sotto i tacchi, gli angoli delle labbra in giù come mutande appese ad asciugare, oltre al silenzio e al caldo di qualche fonte di calore - sole, nelle stagioni in cui riscalda, altrimenti il fuoco della stufa - mi aggrappo a poche pagine della Vita di poeta (vedi sopra) o de La passeggiata di Robert Walser (pubblicati entrambi da Adelphi) e subito mi sento rinfrancato e risollevato, e un po' di gioia di vivere - intesa come contentezza dell'essere qui e ora - ritorna in circolo, a sufficienza.
«Tu, tu riesci benissimo a vivere senza che nessuno si ricordi nemmeno lontanamente della tua esistenza».
«Tu sei felice; giacché la modestia è gioia a se stessa e la fedeltà se ne sta in sé contenta».
In queste frasi, che un Papa Francesco potrebbe prendere a prestito per utilizzarle come lodi del buon cristiano, c'è, da parte di Walser, una sublime presa per il culo della falsa rassegnazione che, per non sfociare nel risentimento, prende la via stoica dell'accettazione del destinaccio infame che gli è toccato in sorte.
«Che tu sia ciò che sei e quale sei» altrimenti sei già sulla cattiva strada dell'imprevedibilità, potresti fare «cattivi incontri» che ti distolgano dal dovere al quale sei stato «consacrato».
Per fortuna sei solo un bottone, valore d'uso.
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