Torniamo ai travolgimenti, la sentenza travolge o no 7 anni di storia costituzionale?
«No. Per il principio di
continuità dello Stato: lo Stato è un ente necessario. L'imperativo
fondamentale è la sua sopravvivenza, che è la condizione per non cadere
nell'anomia e nel caos, nella guerra di tutti contro tutti. Perfino nei
cambi di regime c'è continuità, ad esempio dal fascismo alla Repubblica,
o dallo zarismo al comunismo. Il fatto stesso di essere costretti a
ricordare questo estremo principio significa che siamo ormai sull'orlo
del baratro». Da un'intervista a Gustavo Zagrebelsky pubblicata ieri su Repubblica.
Insomma, cari noi, non siamo abbastanza maturi: dobbiamo portarci lo Stato sul groppone per sempre, pena il «cadere nell'anomia e nel caos, nella guerra di tutti contro tutti».
Lo Stato è, a fortiori, una necessità, perché senza Stato l'uomo non ha destino, perché al di fuori di esso vige un mondo senza regole e senza protezioni. Lo Stato è un luogo sacro, il tempio ove l'uomo sacrifica la sua sovranità in favore dei rappresentanti che si mettono alla guida dello Stato. Lo Stato è un automatismo, un marchingegno complesso che comunque deve avere una guida o delle guide in grado di farlo funzionare. La fortuna - negli ultimi diciamo mezza dozzina di decenni per non abbondare - è stata ritrovarci a vivere in degli stati liberali, democratici, ove alcuni diritti, che si rifanno alle solenni dichiarazioni universali, vengono tutelati. Dobbiamo convenirlo, ok. Ma dobbiamo anche essere abbastanza onesti per constatare che, a poco a poco, passo dopo passo, i diritti vengono erosi, vilipesi in nome di impellenti necessità economiche dettate dalla tenuta finanziaria dello Stato.
- E Lui prese il pane, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi.
- L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Nel primo caso è sortita fuori - e dura da millenni - una Chiesa. Nel secondo, uno Stato. L'è andata di merda.
Lo Stato è, a fortiori, una necessità, perché senza Stato l'uomo non ha destino, perché al di fuori di esso vige un mondo senza regole e senza protezioni. Lo Stato è un luogo sacro, il tempio ove l'uomo sacrifica la sua sovranità in favore dei rappresentanti che si mettono alla guida dello Stato. Lo Stato è un automatismo, un marchingegno complesso che comunque deve avere una guida o delle guide in grado di farlo funzionare. La fortuna - negli ultimi diciamo mezza dozzina di decenni per non abbondare - è stata ritrovarci a vivere in degli stati liberali, democratici, ove alcuni diritti, che si rifanno alle solenni dichiarazioni universali, vengono tutelati. Dobbiamo convenirlo, ok. Ma dobbiamo anche essere abbastanza onesti per constatare che, a poco a poco, passo dopo passo, i diritti vengono erosi, vilipesi in nome di impellenti necessità economiche dettate dalla tenuta finanziaria dello Stato.
«Il potere statale moderno non è che un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese.» Il Manifesto del Partito Comunista, cap. 1.La sacralità degli interessi generali dello Stato è andata via via assomigliando alla celebrazione eucaristica: come i preti fanno rivere il mistero della resurrezione del corpo di Cristo dentro l'ostia consacrata, così i politici fanno credere che i loro decreti e le loro leggi contengano i principi sui quali lo Stato si fonda, ossia siano il compimento dei principi fondamentali che regolano la Costituzione.
- E Lui prese il pane, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi.
- L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Nel primo caso è sortita fuori - e dura da millenni - una Chiesa. Nel secondo, uno Stato. L'è andata di merda.
«La prima Rivoluzione francese, a cui si poneva il compito di spezzare
tutti i poteri indipendenti di carattere locale, territoriale, cittadino
e provinciale, al fine di creare l'unità borghese della nazione,
dovette necessariamente sviluppare ciò che la monarchia assoluta aveva
incominciato: l'accentramento; e in pari tempo dovette sviluppare
l'ampiezza, gli attributi e gli strumenti del potere governativo.
Napoleone portò alla perfezione questo meccanismo dello Stato.
La monarchia legittima e la monarchia di luglio non vi aggiunsero
nulla, eccetto una più grande divisione del lavoro, che si sviluppava
nella stessa misura in cui la divisione del lavoro nell'interno della
società borghese creava nuovi gruppi di interessi, e quindi nuovo
materiale per l'amministrazione dello Stato. Ogni interesse comune fu subito staccato dalla società e contrapposto ad essa come interesse generale, più
alto, strappato all'iniziativa individuale dei membri della società e
trasformato in oggetto di attività del governo, a partire dal ponti,
dagli edifici scolastici e dai beni comunali del più piccolo villaggio,
sino alle ferrovie, al patrimonio nazionale e all'Università di Francia.
La repubblica parlamentare, infine, si vide costretta a rafforzare,
nella sua lotta contro la rivoluzione, assieme alle misure di
repressione, gli strumenti e la centralizzazione del potere dello Stato.
Tutti i rivolgimenti politici non fecero che perfezionare questa
macchina, invece di spezzarla. I partiti che successivamente lottarono
per il potere considerarono il possesso di questo enorme edificio dello
Stato come il bottino principale del vincitore.»
Karl Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, VII
2 commenti:
...e io anche per questo mi ritirai a vita privata: tutti i miei "programmi", anche i più ragionevoli (vabbè, i meno etilici) si infrangevano sempre sul principio di continuità...
In effetti, è un principio del cazzo.
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