giovedì 27 maggio 2010

Una traduzione poetica

Je veux pousser par la France ma peine,

Plus tôt qu'un trait ne vole au décocher;

Je veux de miel mes orelles boucher,

Pour n'ouïr plus la voix de ma Sereine.


Je veux muer mes deux yeux en fontaine,

Mon cœur en feu, ma tête en un rocher,

Mes pieds en tronc, pour jamais n'approcher

De sa beauté si fièrement humaine.


Je veux changer mes pensers en oiseaux,

Mes doux soupirs en Zéphyres nouveaux,

Qui par le monde éventeront ma plainte.


Je veux du teint de ma pâle couleur,

Aux bord du Loi enfanter une fleur,

Qui de mon nom et de mon mal soit peinte.


Pierre de Ronsard, Amours

Voglio spandere per l'Italia la mia pena,

Più veloce di una freccia scoccata che vola;

Voglio del miele che tappi le mie orecchie,

Per non udir più la voce della berlusconiana Sirena.


Voglio mutare i miei due occhi in fontana,

Il mio cuore in fuoco, la mia testa in una roccia,

I miei piedi in un tronco, per non avvicinarmi mai

Alla sua stronzaggine così fieramente umana.


Voglio cambiare i miei pensieri in uccelli,

I miei dolci sospiri in nuovi Zefiri,

Che per il mondo sventaglieranno il mio lamento.


Io voglio che dal mio pallido colorito,

Sulle rive dell'Arno far nascere un fiore,

Che del mio nome e del mio male sia il ritratto.


Libera mia traduzione

3 commenti:

giuliomozzi ha detto...

Che a freccia in tutt’Italia
giunga la mia pena;
che il miele negli orecchi
zittisca 'sta sirena:

e in fontanelle gli occhi,
in forno il cuore, in pietra
la testa e in tronco i piedi
mi si trasformino, affinché

io mai mai mi appropinqui
a un uomo tanto iniquo.

E in cazzi volanti i pensieri,
in peti parlanti i sospiri
si mutino, e portino ovunque
'sto fetido lamento.

E nasca un fiore
dal mio pallore:
abbia il colore
e del mio male
e del mio nome.

(Mi sono permesso di fraintendere la parola "uccelli"...).

Luca Massaro ha detto...

Che onore Giulio, e che magnifica versione, la tua.
Grazie. Mi permetto di "postarla".
:-)

luigi castaldi ha detto...

Ehm, ehm...

Per te, o Italia, ho un dardo in cocca:
voglio scagliarti tutta la mia pena.
Non voglio udire più quella Sirena,
tappate a me le orecchie o a lei la bocca.

Brucia, o coronaria, e tu, o safena,
scoppia! Tempie, mutate in dura rocca!
Verserei gli occhi miei in una brocca,
per non vedere più questa gangrena!

Trasformerei in piccione ogni pensiero
a scacazzare questo monumento nero,
o in corvo per gracchiare il mio dolore.

E pianterei l’esangue mio orrore
in riva a un fiume, a farsi pianta e fiore,
simbolo di quel che sono – pardon! – ero.