venerdì 26 novembre 2010

Dio che silenzio c'è stasera

Io. Pronto, Dio?

Dio. Si, sono pronto. Cosa vuoi a quest'ora prima di cena? Ho capito che sono, per certuni, uno e trino, e per certaltri una moltitudine, però non posso mica concederti di parlare con me tutte le sere!

Io. Capisco. Abbi pazienza, ma ho letto, su Avvenire¹, un brano della postfazione di Massimo Cacciari al libro di André Neher, L’esilio della parola, Medusa, Milano 2010 (pp. 238, euro 19,50, introduzione di Sergio Quinzio). Mi interesserebbe sapere cosa ne pensi di questi passaggi:

«La voce del silenzio, oltre ancora quella del soffio più impercettibile, è per lui la forma più autentica del manifestarsi del Signore».
«Questo Silenzio va anzitutto ascoltato. Non basta insistere sul fatto che l’imperativo non riguarda il credere o l’imparare. Il vero paradosso sta nell’ascoltare il Silenzio, poiché il Silenzio soltanto è in-finito, non si lascia catturare da alcun logos, né de-finire “filosoficamente” come sostanza o fondamento. La tradizione è anch’essa, a pieno titolo, rivelazione del Signore, ed inizia già con le sue prime parole. Il Silenzio, dunque, parla, e proprio nel suo “tradirsi” in parola interpretante ri-vela se stesso»

Ecco, io vorrei semplicemente chiederti se è vero che il Silenzio, il tuo silenzio «parla».

Dio. Guarda questo “brano” cinematografico e fallo vedere anche a Cacciari. Divertiti. Sappi solo che, secondo Me, nella disputa verbale, entrambi i protagonisti hanno ragione.

Io. E di questo passaggio, cosa ne pensi?

«La perfetta capacità di ascolto è infatti promessa escatologica, come il vedere il Signore. Ma chi è sordo al Silenzio, neppure saprà davvero ascoltare, e non sapendo ascoltare neppure potrà entrare in autentico colloquio. In questi nessi si gioca il drama, o play, come dice Neher, tra uomo e Dio: il Dio nascosto esige d’essere cercato; l’uomo non sa cercarlo perché cerca soltanto parole-risposte, perché non sa ascoltare l’abissalità del suo Silenzio. Dio ama il cuore di coloro che cercano – ma non per ricevere, come dall’idolo, consolanti certezze, rassicurazioni, fondamenti. La forma ultima dell’avvenire del Signore si ri-vela proprio nel suo Silenzio, che nessuna parola può annichilire, che a nessun dis-correre appare riducibile».

Dio. Il punto, caro mio, è che questo mio silenzio è vero e non è vero, c'è e non c'è. Io ad esempio ora ti parlo, vero? Anche se non mi va, anche se preferirei fare qualcos'altro io parlo, io sto usando la tua voce per dire tutta una serie di cose che ti frullano nella testa e che supponi sia Io, Dio, a pensare e a dire. A te ti comoda avere in mente un'idea simile di Dio, tale da impedirti il radicale distacco dal concetto che mi definisce. Vedi, se io non ci fossi nella tua testa, ovvero se questa idea che tu ti sei fatto e ti fai su di me, non fosse nemmeno nata, allora il mio Silenzio sarebbe irrevocabile. Il problema non è dato tanto dalla mia esistenza o non esistenza, ma dal fatto che la mia invenzione possa permettere a certuni (i chierici di tutte le religioni) di incatenare certaltri (i devoti e quelli che sono sotto il tallone di una forzata devozione) nelle madrasse a cui si costringono o sono costretti nella vita quotidiana. La partita su di me è nata truccata. Se tu guardi in cielo una nuvola passare e ci vedi un volto o un paio di belle cosce, esse sono visioni tue e non devi correre al villaggio-globale e dire che hai visto Madonna (la Ciccone) in calze a rete. Mi comprendi? Possibile che al punto storico ove l'umanità è giunta, ancora vi siano moltitudini che sillabano preghiere su testi sacri risalenti a millanta anni fa, pensati e scritti sotto l'effetto di digiuni forzati, di schiavitù, o coi primi tentativi di fumarsi il cervello con l'oppio dei popoli? La vedi come la penso? Sono Io a pensarla così, il tuo Dio, che risponde alle tue chiamate anche se a quest'ora suole guardare il tgquattro per sputare in faccia a quel pandaro d'un bi-Fede, peste lo colga. Lasciami andare ora. Va' riposarti la mente, leggi qualche verso, trovalo, fallo conoscere.

Io. Grazie e buona cena.

Dio. Prego. Stasera mi aspetta un bel brodo primordiale.

¹Con un titolo simile, più che alla lettura, mi sembra un invito ad andare in bagno.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

io non so come tu riesca a leggere certe cose (postfazioni, per essere precisi, così ci capiamo). tutti quei trattini a spezzare le parole... bleah

Luca Massaro ha detto...

Devo dire la verità: è stato il titolo, orrendo, dell'articolo su Avvenire a incuriosirmi.
In ef-fet-ti i trat-ti-ni so-no pe-no-si.
Secondo me sono l'effetto di un trauma subito dal Filosofo alle elementari, non si spiega diversamente. Dacché quando uno legge «de-finire», «ri-vela», «dis-correre» verrebbe voglia di richiamare in vita Nietzsche per farci prestare il di lui martello per frantumare tutti questi trattini del menga.
;-)