sabato 27 novembre 2010

Un paese con troppi poeti

Trovare un articolo di Adriano Sofri (lo leggete qui, se volete, che ancora su Repubblica online è a pagamento) è sempre un bene per la mente che, di primo mattino, cerca – molte volte invano – editoriali edificanti. Tuttavia, a margine della sua passeggiata intellettuale intorno al tema dell'originale protesta degli studenti universitari che si sono fatti scudo con cartoni a forma di libro, mi preme dire un paio di cose che contraddicono l'assunto sofriano che l'Italia sia, oggi, un paese senza poeti viventi che abbiano un'altissimo riconoscimento mondano e una significativa considerazione politica (contrariamente, per esempio, alla Grecia. Sofri trae questa informazione dalla lettura della raccolta della poesia greca del Novecento pubblicata da poco dai Meridiani-Mondadori ove si dice, appunto, che «la Grecia ha una fiducia “speciale” nella poesia»). Ecco questo paio di cose (ehm) pensate a margine:
  • Si dica quello che si vuole ma a capo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali oggi abbiamo un poeta; e lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri può essere effigiato di tale nomina se si considera la sua cospicua attività di paroliere di canzoni d'amore musicate dipoi dal valente chansonnier Apicella (considero Berlusconi poeta come Sofri considera poeta Edoardo Bennato - «E un altro poeta ha avvertito: “Sono solo canzonette”»).
  • «Al funerale di Pasolini […] Alberto Moravia, che non era uomo di scalpori retorici, gridò: “Abbiamo perso prima di tutto un poeta, e di poeti non ce ne sono tanti nel mondo. Ne nascono tre o quattro soltanto, in un secolo”. Il poeta dovrebbe essere sacro, protestò Moravia. Aveva ragione». No, gentile Adriano, Moravia non aveva ragione.
    In primo luogo perché con Pasolini l'Italia non perse prima di tutto un poeta, ma un poeta e un romanziere, e un saggista, e un cineasta e, soprattutto, un pedagogo (nel senso migliore del termine) che spaventava il potere.
    In secondo luogo, perché non è vero che non ci sono tanti poeti nel mondo: ce ne sono anche troppi. Il problema è, semmai, che ci sono pochi lettori di poeti – e questo sì che è preoccupante, giacché non tanto i poeti salveranno il mondo, quanto i lettori di poesia non lo distruggeranno (ho, infatti, la presunzione di ritenere che dopo aver letto una lirica degna di questo nome, ogni umano sia impossibilitato a spargere male nel mondo. Mi piacerebbe sapere se Berlusconi, oltre a Rio bo, conosca per esempio anche la Visita alla contessa Eva Pizzardini Ba).
    In terzo luogo, non è vero che il poeta dovrebbe essere sacro: giammai! il poeta deve essere dissacrante o non è, dacché – a mio avviso, naturalmente – la quintessenza della poesia è la desacralizzazione del mondo, è il punto di vista del singolo, dell'individuo di fronte al mondo, sia esso rappresentativo dello stupore che dello spavento, dell'amore come della rabbia, eccetera. Nessun vero poeta ha mai fondato una religione, dato che egli è immerso nel mondo, totalmente. La poesia è immanenza pura, e il poeta, anche immaginando trascendenze, non le trasforma mai in preghiera collettiva o in rituale (almeno, questo, nelle sue intenzioni). Checché se ne dica, da Dante fino a Pasolini, nessun poeta ha mai fondato una religione, né tantomeno una chiesa.

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