lunedì 14 aprile 2014

Dita


«I loro discorsi, di solito, riguardavano gli anni durante i quali s'erano frequentati. Lui le ricordava particolari irrilevanti, il colore della sua veste quella certa volta, chi era venuto quel dato giorno, ciò che lei aveva detto in un'altra occasione; e lei, tutta meravigliata, rispondeva:
- Sì, mi ricordo.
I loro gusti, i loro giudizi erano identici. Sovente, quello che stava ascoltando esclamava:
- Anch'io!
Erano, poi, interminabili lagnanze contro la Provvidenza:
- Se il cielo avesse voluto... Se ci fossimo incontrati...
- Ah, fossi stata più giovane!
- No: io di poco più vecchio.
E s'immaginavano una vita d'amore e basta, tanto feconda da colmare qualsiasi solitudine, forte più d'ogni gioia, al di sopra di tutte le miserie, dove il tempo si sarebbe dissolto in una perpetua espansione di se stessi; una vita alta e rilucente come un palpitare di stelle.
Stavano quasi sempre fuori, in cima alla scalinata; le fronde degli alberi toccate dal giallo dell'autunno si gonfiavano ineguali davanti a loro fino alla pallida estremità del cielo. Qualche volta raggiungevano, alla fine del viale, un padiglione il cui unico mobilio era un canapè di stoffa grigia. Macchie nere invadevano lo specchio, le pareti sentivano di muffa; ma loro restavano là rapiti a parlar di se stessi, degli altri, di non importa cosa. A volte, attraversando le gelosie, i raggi di sole si fissavano tra il soffitto e il pavimento come le corde d'una lira, e il pulviscolo si metteva a turbinare in quella gabbia di luce. Lei si divertiva a fenderla con la mano; lui se ne impadroniva dolcemente e contemplava l'intreccio delicato delle vene, i piccoli nei della pelle, la forma delle dita. Più che una cosa, ogni dito di lei era, per Federico, quasi una persona.»

Gustave Flaubert, L'educazione sentimentale, (1869), edizione Garzanti, Milano 1966, traduzione di Giovanni Raboni.

Quando ero innamorato prendevo sovente la mano dell'amata, la tenevo, giocavo con le dita dopo aver ripetuto la filastrocca mano, mano piazza, la baciavo, la premevo piano tra il mio orecchio e la mandibola, chiudevo gli occhi e speravo che essa, poco dopo, da lì scendesse e risolvesse la questione trovando il mio desiderio.
Ciò nonostante, non avevo mai pensato di personificare ogni dito.
Forse perché non avevo letto questo passo di Flaubert o forse perché ero giovane e non avevo ancora scoperto i benefici del massaggio prostatico?

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