mercoledì 30 aprile 2014

La morte di un capitano coraggioso

«La morte di Emilio Riva rappresenta l'epilogo personale di un finale di partita che, per l'economia e la società italiana, avrebbe potuto essere di caratura diversa. Sì, perché la parabola del gruppo Riva e la vita di Emilio saranno segnate per sempre dall'acquisizione – durante la campagna di privatizzazioni dell'Iri nel 1994 – dell'Italsider, che permetterà al gruppo di compiere un salto dimensionale tale da farne un protagonista internazionale, e dai guai giudiziari che scaturiranno dal problema ambientale di Taranto. Guai giudiziari che, per Emilio, si tradurranno in un lungo periodo di arresti domiciliari. Taranto rappresenta davvero il punto in cui ogni cosa – nella storia italiana – è andata male.

L'economia pubblica ha mostrato appieno, in quella città, la sua forza devastatrice. L'impatto ambientale, soprattutto nei vent'anni compresi fra il 1974 del raddoppio dello stabilimento (da 5 a 10 milioni di tonnellate di capacità produttiva all'anno) e il 1994 della privatizzazione, è stato durissimo e nessuno, a Roma, si è mai curato dei suoi effetti. I partiti hanno occupato militarmente posizioni su posizioni della vecchia Italsider. I ceti politici locali sono cresciuti attaccati al seno dell'acciaieria, lavoro e consenso, squilibri finanziari e scarsa redditività industriale effettiva, fumi neri nell'aria e il quartiere di Tamburi che cresceva a ridosso dell'acciaieria, quando i Riva nemmeno erano mai andati in vacanza a Taranto. Allora si chiamava Prima Repubblica. E, a Taranto, i sindacati mostravano tutta la loro capacità collusiva, forma estrema del consociativismo italiano. Poi sono arrivati i Riva. I quali hanno trasformato il rottame in un gioiello. L'impianto ha raggiunto livelli di produttività e di efficienza assai rilevanti. Produttività, appunto. Efficienza (industriale), appunto. Gli investimenti nell'acciaieria sono stati indirizzati soprattutto al miglior funzionamento e, in parte minore, al rimedio di una condizione ambientale che lo Stato inquinatore aveva lasciato in condizioni al limite dell'incurabilità. Il tutto con una serie di metodi duri e padronali che all'inizio sono stati essenziali per riordinare il caos anarcoide di Taranto. Ma che, poi, si sono rivelati uno spesso diaframma fra la fabbrica e la città, i Riva e i tarantini. Un diaframma inutile e irrazionale, soprattutto quando ha cominciato a delinearsi, con tutta la sua forza, il tema ambientale. Una questione che i Riva avrebbero dovuto affrontare con metodi più ragionevoli e sistemici rispetto a quelli invece adottati, rozzi e da spicciafaccende. Quando la magistratura – ordine che nella constituency italiana è sistematicamente chiamato a risolvere complessi problemi sistemici disponendo soltanto dell'unilateralità dei codici – ha incominciato ad operare come un chirurgo convinto che l'Ilva fosse un tumore da estirpare e basta, Emilio Riva si è trovato avvolto da tutta questa rete. Prima a casa sua, ai domiciliari. Poi, su un letto di ospedale» 
Paolo Bricco - Il Sole24 Ore

Tutto sommato, mi sembra un ritratto obiettivo quello del quotidiano della Confindustria. 
Non so tuttavia dire quanto sia vero che, dopo l'acquisizione dell'Italsider, i Riva abbiano «trasformato il rottame in un gioiello». Nondimeno, non viene sottaciuto il fatto che, nonostante la raggiunta e tanto osannata produttività (e i profitti a essa conseguiti), i Riva non abbiano indirizzato molta attenzione alla questione ambientale, in pratica continuando, nella stessa misura, la pratica industriale che lo Stato aveva intrapreso: inquinare.

Poco apprezzabile, dell'articolo, è il tono “piccato” col quale, in conclusione, viene descritta la magistratura («nella constituency [!] italiana» è l'ordine che «è sistematicamente chiamato a risolvere complessi problemi sistemici disponendo soltanto dell'unilateralità dei codici». E di cosa altro dovrebbe disporre la magistratura? Delle bombe a mano?), vista «come un chirurgo convinto che l'Ilva fosse un tumore da estirpare e basta». Fatta la debita precisazione dell'imperdonabile ritardo col quale sono intervenuti, cosa dovevano fare i magistrati? Le crocerossine con le pezzette e i clisterini caldi, oppure i sacerdoti che impartiscono l'estrema unzione?
Non sarà mica che il corsivista alluda al fatto che la malattia prima e la morte poi di Emilio Riva sono da addebitare alla malasanità di un chirurgo senza scrupoli?

P.S.
Strano che nel coccodrillo non si ricordi che Emilio Riva è stato uno dei capitani coraggiosi che - grazie all'opera di convincimento di un padre della patria perseguitato anch'egli dalla magistratura - salvarono Alitalia dalle grinfie di quei ribaldi di Air France.

3 commenti:

Olympe de Gouges ha detto...

bravo, hai fatto bene a ricordare.
non conosco la questione direttamente perciò non posso esprimere giudizi su questo e quello. trovo del tutto conseguente però che l'art. del 24 ore se la prenda con l'industria pubblica. quale privato avrebbe avuto disponibilità e assunzione di rischio nel costruire l'acciaieria in quel di taranto?

Luca Massaro ha detto...

Già. Conseguentemente, ti chiedo: non si potrebbe estendere il tuo appunto a tutta l'industria pubblica finita nelle mani dei privati?

Olympe de Gouges ha detto...

pubblica per modo di dire, feudo della politica