Tra li tanti modelli di esistenze messi a disposizione dal mercato dell'essere, ne ho tratto uno dallo scaffale proletario aspirante piccolo-borghese, l'unico alla portata delle mie tasche, pagabile comodamente in x rate, tante quante sono quelle da pagare per la sussistenza.
E infatti vivo e per farlo, nell'ordine, respiro, bevo, mangio, espleto funzioni fisiologiche, dormo, lavoro, cazzeggio, prendo il sole e anche la pioggia, il vento e il raffreddore, quindi starnuto, smadonno, mi asciugo i capelli dopo la doccia, mi eccito e quindi esercito alcune funzioni che sarebbero destinate alla riproduzione anche se - due volte a parte - ho sempre commesso atti impuri (e dire che tra i sedici e i diciassette usavo le agende in similpelle donate dalla cassa di risparmio per ricordarmi ogni giorno quante volte figliolo. Poi ho smesso).
Se oltre al salone dell'auto e al salone del mobile ci fosse pure il salone dell'umano, io potrei espormi in maniera più accurata di quanto faccia, quotidianamente, su queste pagine. Potrei, per esempio, ingaggiare un promoter, un visagista, un personal trainer, un vetrinista, qualcuno che, insomma, aiuti a vendere meglio il mio prodotto, sì ch'io entri nel circolo magico della distribuzione, dello scambio e del consumo. Tutto sta partire, trovare i canali giusti, dato che, presumo, una volta assaggiato, la gente tornerà a comprarmi - ma cosa comprerà se io mi sono già venduto?
In altri termini: come autoriproduco il mio prodotto? Dove trovo la materia prima per rifarmi, ripropormi in serie?
Niente da fare, meglio che non m'illuda: non sono in grado di far di me un capitalista, dacché se uno non è capace di sfruttare se stesso, figuriamoci gli altri.
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