«Riassumendo:
la masturbazione può essere compresa autonomamente e dall'interno
del suo modello archetipico; non va condannata né come comportamento
surrogatorio per carcerati e pastori, né come comportamento
regressivo per gli adolescenti, né come ritorno periodico di
fissazioni edipiche, né, infine, come coazione fisiologica priva di
senso che va inibita mediante quelle corrispondenti proibizioni che
sono i rapporti personali, la religione e la società. Nello stesso
modo in cui la masturbazione ci connette con Pan come capro, ci
connette anche con la sua altra metà, la partie
supérieure della
funzione istintuale: l'autocoscienza. In quanto è l'unica attività
sessuale eseguita da soli, non possiamo giudicarla semplicemente in
funzione del servizio che rende alla specie o alla società. Invece
di fissarci sul suo ruolo inutile per la civiltà e la procreazione
all'esterno, potremmo riflettere sulla sua utilità per la cultura e
la creatività all'interno. Intensificando l'interiorità con la
gioia – e col conflitto e la vergogna, e ravvivando la fantasia, la
masturbazione, benché priva di scopo per la specie o la società,
reca tuttavia piacere genitale, fantasia e colpa all'individuo come
soggetto psichico. Essa sessualizza la fantasia, porta il corpo alla
mente, intensifica l'esperienza della coscienza morale e conferma la
possente realtà della psiche introvertita – non fu, infatti,
inventata per il solitario pastore che suona il suo zufolo nei vuoti
spazi dei nostri paesaggi interiori e che ricompare quando siamo
abbandonati alla solitudine? Costellando Pan, la masturbazione
riporta la natura e la sua complessità nell'opus
contra naturam
del ‘fare anima’.»
James
Hilman, Saggio su Pan, (1972).
Adelphi, Milano 1977, traduzione
di Aldo Giuliani.
Era
tanto che non mi masturbavo così volentieri come dopo
aver letto questo brano. Era
dai tempi in cui me l'ordinò il dottore, l'urologo, tempi in cui
soffersi di una fastidiosa prostatite che mi provocò finanche
emospermia. Dio, come rimasi impressionato vedere sangue proprio lì.
Ma il dottore disse di non preoccuparmi, anzi, di dargliene
secche, di aumentare i coiti o provvedere all'uopo nel caso in cui.
Optai per la seconda soluzione per ragioni che ora sarebbe
inopportuno rammentare qui. E iniziò un bel rapporto tra me e me,
pressoché quotidiano. Portavo e porto volentieri il mio corpo alla
mente. Vero, capitano anche giorni in cui non mi sopporto e allora
cambio partner. Busso a delle porte che a volte si aprono a volte no.
Generalmente, quando si aprono, nella soddisfacente celebrazione di
un amplesso, succede un po' come quando si tradisce qualcuno
sentendosi in colpa: non si vede l'ora di poter tornare, nel silenzio
che autoassolve, tra le braccia del partner tradito – e così
accade per me sovente, ma non è una cosa triste, no, è gioiosa, un
ritrovarsi, un riconciliarsi con la propria parte misterica.
E
pensare che ci fu un
periodo della mia vita, da giovane, che pensavo che fosse peccato
masturbarsi. Mi ricordo persino che chiedevo perdono a
un'Entità superiore con la barba (!)
per aver commesso atti impuri. Atti impuri? Ma veramente non mi sono
mai toccato senza prima lavarmi le mani, così
come mi piace nettarmi dipoi per non sentirmi appiccicoso.
Scherzi
a parte, ho la presunzione di ritenere
che colui
che si sa masturbare, ossia
chi prova piacere bastante nel
fare l'amore con sé, difficilmente soffre di squilibri mentali, ha
manie di sopraffazione, di violenza, di sopruso sessuale. Ma ripeto:
la mia è una ipotesi dettata dalla sicumera che tutti godano
masturbandosi quanto me. Certo, a volte, in alcuni momenti e
situazioni, le proprie mani non riescono a donare la stessa gioia che
si avrebbe con particolari mani altrui vicino. Mani e non solo mani.
Genitali, ok, ma soprattutto presenza reale dell'immaginato
“soggetto” del desiderio. E mi viene in mente una cosa che allego
a latere alla presente.
Da
giovane, quando ero
innamorato di qualcuno (lascio volutamente l'impersonale maschile per non insistere troppo sulla mia vocazione eterosessuale), tendevo
a masturbarmi meno, ma,
quando lo facevo, cercavo
disperatamente soggetti desiderabili diversi da quello che invece mi
riempiva
il cuore. Suppongo
che questo fosse
un residuo della mia educazione cattolica, almeno credo, a cui penso
di avere rimediato. Forse
perché ritenevo che masturbandomi pensandoci, il soggetto d'amore si deturpasse per causa mia. Che sciocco. Ci voleva,
anni dopo, un'amica, di cui fui peraltro innamorato, a svegliarmi,
ovvero a farmi considerare la cosa da un'altra prospettiva, in altri
termini confessandomi che le piaceva toccarsi pensando a me. Io le
dissi la stessa cosa e fu una gioia comunicarselo (e purtroppo non
c'erano all'epoca né cellulari né skype). Ce lo scrivevamo (è il
caso di dirlo) di pugno: come scorreva bene la stilografica sulle
nostre profumate lettere d'amore.
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