giovedì 16 maggio 2013

Opzioni

Ieri, per ragioni di lavoro, mi trovavo in una cittadina etrusca in riva al mare. Durante una pausa, io e una collega, la quale ha il vezzo di sminuire la portata erotica del suo culo e del suo seno, andiamo a prendere un caffè in un bar segnalato da altre colleghe che poco prima vi erano state.
All'ingresso, sotto l'ampia veranda del bar, seduti su dei comodi canapè, una decina di carristi dell'esercito italiano consumava la propria pausa. La collega si ritrova – vi ho già detto perché – numerose paia di occhi puntate addosso e, mentre per un attimo medito di prenderla sotto braccio, sì da aumentare l'intensità degli infrarossi che la spogliavano, mi sono voltato e ho sentito addosso io gli occhi da lupa (cit.) di una carrista, capelli scuri e coda di cavallo, seduta da sola su uno sgabello di quelli alti, all'americana, mentre sorseggiava una coca con dentro una fetta di limone, unica donna tra i suoi commilitoni. Non amo il genere donne in divisa ma questa, nonostante la mimetica, trasmetteva una femminilità potente, del tipo di donna che sa chiedere quello che vuole, anche le palle dell'eventuale partner di turno. Questa la mia impressione, almeno, più frutto dei miei attuali desiderata che di un efficace intuito come di chi la sa lunga (io non la so lunga).
E vabbè. Entriamo e ci dirigiamo al bancone. L'illuminazione è scarsa e il barista indossa una t-shirt nera con il logo del bar medesimo. Chiediamo due caffè e, nell'attesa, anziché dare di gomito alla collega, scherzando sugli sguardi che l'hanno attraversata, domando dove sia il bagno, ché mi scappa forte, e quindi.
Passo così veloce dalla semioscurità del salone del bar alla luce intensa dell'antibagno. Davanti a me due porte e tre simboli: maschi e femmine/handicap – e non capisco proprio il collegamento. Chiaramente, apro quella coi baffi e, che schifo: il wc è colmo di carta igienica zuppa e giallastra, sotto si nota roba marrone che non vuole andare giù, lo scarico di plastica dello sciacquone non c'è, c'è solo un rubinetto dentro l'incasso del muro, sul quale un ragno di mezzo ettogrammo ha tessuto una grossa ragnatela. Non ce la faccio, non posso tirare fuori il pene qui e pisciare, che puzza, no. Esco. Scusatemi, ma mi scappa forte: apro la porta con gonna e carrozzina: il cesso è pulito – e ti credo, e c'è pure un lavandino con sapone liquido di marsiglia. Chiudo la porta e tiro il chiavistello ma è difettoso. Pace. C'è calma, decido di farla. Ah, come si sta meglio. Con cura prendo un po' di carta igienica pulita e la passo per precauzione sul bordo. Ho la mira buona ma non si sa mai. Ho la coscienza sporca, ma la voglio lo stesso pulita, sotto certi aspetti. Tiro lo sciacquone. Mi lavo le mani e, mentre me le sciacquo, la porta si apre: la militare.

Ecco, a questo punto mi si propongono due opzioni. Continuare il racconto stando ai fatti, oppure stando alle eventualità che potevano verificarsi ma non si sono date, se non nella mia immaginazione. In breve, non so se continuare io la narrazione, oppure se è preferibile farmi sostituire da quel tale che si ostina a chiamarsi Lucas.
Sarà meglio ci dorma su.

7 commenti:

Olympe de Gouges ha detto...

troppi caffè

melusina ha detto...

Ennò, non si fa così. Vero o immaginato, qua vogliamo sapere il resto, e ne abbiamo diritto!

Anonimo ha detto...

Uahahhahaah, fantastico!! Ci sei su Facebook? Paolo Di Muccio

Luca Massaro ha detto...

@ Mel
Ho paura di rovinare il finale ;-)

@ Paolo
Sì, un poco feisbucco anch'io.

Anonimo ha detto...

in ogni caso leggerei il seguito con piacere - contrariamente a odifreddi, io adoro "le storie inventate".

Junkie ha detto...

Dipende. Cosa farebbe questo tal Lucas al posto tuo?

Luca Massaro ha detto...

@ Junkie
Diciamo che quel tale si lascerebbe perquisire senza opporre resistenza. Io invece sarei proprio un collaborazionista. Questo in linea di massima.