sabato 20 luglio 2013

Di noi, i più effimeri

Perché, se si può dunque trascorrere questo po'
d'esistenza come lauro, più scuro un poco
di tutto l'altro verde, con onde piccole ad ogni
margine di foglia (come di un vento il sorriso) –: perché
questa necessità di farci umani –, perché, quando scansiamo destino,
abbiamo nostalgia di destino?...

                                                                                         Oh, non perché ci sia la felicità,
questo vantaggio precoce di una prossima perdita.
Non per curiosità, o per esercizio del cuore
che anche nel lauro sarebbe...

Ma perché essere qui è molto, perché sembra abbia bisogno
di noi tutto quello che è qui, l'effimero che
stranamente ci riguarda. Di noi, i più effimeri. Una volta
ogni cosa, soltanto una volta. Una volta e non più. E anche noi
una volta. Mai più. Ma questo
essere stati una volta, seppure solo una volta:
essere stati terreni, non pare sia revocabile.

Rainer Maria Rilke, Elegie Duinesi, La nona elegia, vv. 1-16

Per la critica testuale delle Elegie duinesi di Rilke, rimando senza esitazione, alle lezioni di Peter Szondi, raccolte nell'omonimo libro tradotto in Italia da Elena Agazzi per le Edizioni SE, Milano 1997.
È da qui che prendo il testo tradotto della nona, i primi sedici versi, sui quali parto perché la sera lo impone.

Io improvviso, anche se c'è poco da improvvisare. Basta leggere piano e fissare subito nella mente le foglie del lauro, anzi no, non importa, peschiamo un'immagine al volo dalla rete, così per fare meno fatica:

Vedete le piccole onde a ogni margine di foglia (come di un vento il sorriso)? Ecco, noi umani potremmo essere così, tranquilli, sempreverdi, resistenti, profumati e invece no, vogliamo farci umani cercando di andare incontro al proprio destino, quale esso sia.
Ma questo non perché ci sia la felicità nel nostro destino e neanche per conoscere quello che presumevamo fosse il contenuto del nostro destino - cosa che anche il lauro - e ogni altro essere vivente - in qualche mondo presente (terza persona singolare - indicativo presente - del verbo presentire). No.
Noi vogliamo farci umani perché - dice Rilke - tutto quello che ci circonda sembra che, per un attimo o per una vita - abbia bisogno di noi, tutto l'effimero (dei rapporti con gli altri e col mondo), «che stranamente ci riguarda». Ci riguarda, l'effimero, perché esso è il nostro specchio; e la cura che ne prendiamo è cura e attenzione per tutte le cose che una volta, anche soltanto una volta entrano in contatto, in relazione con noi. Ed è proprio «questo essere stati una volta, seppure una sola volta: essere stati terreni», ovvero prodighi di riguardo verso l'effimero, che ci rende, irrevocabilmente, umani.

[continua, forse]

2 commenti:

Minerva ha detto...

Oh, bene, butti lì questa riflessione come se fosse una sciocchezzuola. Invece è piena di vibrazioni, e manco si sa bene che tu voglia alla fine dire. Proviamo...
Mi lasciano perplessa due passaggi:
1) "noi umani potremmo essere così, tranquilli, sempreverdi, resistenti, profumati e invece no, vogliamo farci umani cercando di andare incontro al proprio destino" - sembra quasi che il 'benessere' sia legato all'indifferenza, all'apatia, all'assenza in generale (di moto, di vita, di sentire)
2) "tutto quello che ci circonda sembra che, per un attimo o per una vita - abbia bisogno di noi"... BISOGNO?... Bisogno?
Se sono d'accordo con la prospettiva di "prendersi cura e attenzione dell'effimero che anche solo una volta è entrato in contatto con me", non faccio questo per bisogno mio - perché mi specchio in quell'effimero - o per venire incontro a un bisogno suo. Lo faccio per desiderio, passione, volontà di veder fluire energia e stare dentro quella danza, quel movimento. Non è "bisogno": io con l'idea della morte sto già pacificata, e pure col guardare dall'esterno le cose effimere compiere il proprio ciclo vitale senza dover intervenire. E' solo che mi diverto di più a entrare nella centrifuga e farmene sbatacchiare :-D

Luca Massaro ha detto...

Innanzitutto grazie, cara Minerva, del tuo commento che aumenta, spinge più in là il mio tentativo d'interpretare dei versi che, leggendoli, mi hanno provocato tal effimero post.
Nel merito, al punto 1, penso che Rilke mediti sull'irrequietezza umana, che si manifesta soprattutto quando si vive una condizione pacificata.
Al punto 2, beh, sì, tu spingi più in là il concetto di bisogno dentro il quale è contenuto anche il desiderio, ossia: a volte non si sa bene dove finisce l'uno e inizia l'altro. Poi - è vero - ognuno ha la sua indole e i "suoi" bisogni e/o desideri ;-)