Tutto il puttanaio in corso per il controllo del Corriere della Sera, si può riassumere così: nelle società liberal-democratiche, è buona norma per i player capitalisti, più che avere un esercito personale (che, tra l'altro, a molti non manca), possedere, oltre ai mezzi di produzione, altresì i mezzi di informazione.
L'oggetto della contesa tra Agnelli, Della Valle e altre parti in causa, dunque, si riduce a questo, e anziché fare il tifo per l'uno o l'altro contendente (come mi successe, anni fa, nella famosa battaglia di Segrate, durante la quale parteggiavo per l'ingegnere versus il cavaliere*) occorrerebbe chiedersi donde traggono le risorse per partecipare a tal esoso giochino del provetto editore e, ingenuamente, si potrebbe rispondere: dalla vendita delle auto (Agnelli) e dalla vendita di scarpe (Della Valle). Vero? Se fosse vero (anche se non è vero per nulla, se non per il fatto che la vendita di auto e di scarpe è una condizione legata alla formula generale del capitale, ma non la causa della produzione di plusvalore), perché non reinvestire la “ricchezza” accumulata nel settore che l'ha prodotta, ovverosia, rispettivamente, nelle auto e nelle scarpe?
Se, da una parte, le motivazioni di Della Valle - che, a quanto mi risulta, non soffre la crisi di mercato - sono da addurre all'ambizione di entrare definitivamente nel pantheon del capitalismo nostrano, quelle degli Agnelli quali sono? E pensare che essi, da un lato, costringono migliaia di operai alla cassa integrazione (pagata dallo Stato), dall'altra propongono (impongono?) ore di straordinario ai dipendenti dello stabilimento di Pomigliano... dunque, perché invece di investire quattrini per il controllo del Corriere della Sera, non li spendono per la propria Fabbrica Italiana Automobili Torino?
- Perché diversificano gli investimenti.
- Ma vai a fare diversamente in culo.
Perché così nessun giornalista e/o editorialista al Corriere (o a La Stampa, che già possiedono) porrà mai questioni decisive sulla natura del sistema di rapina legalizzata quale il capitalismo è, e sul quale essi fondano la loro legittimità di signori proprietari dei mezzi di produzione.
La Fiat è uno degli esempi più palmari per comprendere la vera natura del capitalismo.
Oddio, fammi andare a lavare le mani che ho i palmi sporchi.
* È da relativamente poco tempo che ho accantonato la distinzione tra capitalista buono e civile e capitalista cattivo e pezzo di merda.
5 commenti:
Eh vabbè, sempre negativo.
A me Della Valle sembra un brav'omino, almeno quando prende a male parole Elkann.
Ma non bastava tirare fuori i soldi, perchè scrivere a Napo ?
Perché al massimo - sembra - potrà avere un capitale azionario equivalente a quello che gli Agnelli hanno già. E quindi, invocando il principio della libertà d'opinione che sarebbe a rischio se Rcs finisse completamente sotto controllo Fiat, perché questa potrebbe «prendere il controllo per poterlo poi utilizzare come strumento di pressione», chiede aiuto a Napolitano, il quale dovrebbe esercitare un potere di moral suasion nei confronti degli Agnelli.
Scusa Luca,
se il capitalismo è una rapina tout-court,per il quale non è il caso di fare distinzioni di sorta, mi spieghi qual è l'alternativa?
Intendiamoci, se mi dici che tutto è uno schifo e che nulla potrà mai cambiare davvero, per temperamento concorderei con te.
Mi domando però: abbiamo di meglio in cantiere?
Una curiosità :-)
Sono, da poco tempo, uno "studente" di Marx (Karl, soprattutto. Ma anche Groucho). Leggo Il Capitale, piano, molto piano, a volte anche con fatica e difficoltà mie di comprensione, ma anche con molta soddisfazione intellettuale quanto Marx descrive, analizza e spiega.
Di una cosa per ora sono sicuro: Marx non prevede paradisi in Terra, ma, appunto, mostra, a mio avviso, con un giudizio inappellabile, quale sia la vera natura del capitalismo. Ed è una natura di merda. Certo, un po' più profumata e invasiva dei vari totalitarismi novecenteschi o dei passati sistemi feudali o tribali.
Ma, ti chiedo, l'umanità si ferma qui come prospettiva? Ora, io non sono capace, come Amleto, di prendere le armi contro il mare di guai e, combattendo, finirli. No. Però lasciar passare inosservato, accettare che pochi umani detengono controllano e dirigono una massa di potere e ricchezza di fronte alla quale il Re Sole era un piccolo borghese da tremila euro al mese, beh, questo no. Ora mi dirai: "Se tu fossi un capitalista, o un loro servo ben pagato tipo un direttore di giornale, non ragioneresti così". Ma appunto, non lo sono, e non lo siamo: esistono le classi sociali, esistono i padroni e i loro lacchè, esistono gli schiavi di vario ordine e tipo; e i primi fondano il loro potere inequivocabilmente sullo sfruttamento dei secondi. Sfruttamento democratico o meno, dall'Italia alla Cina. Ma attenzione: io non sono per l'abolizione della proprietà privata, no. Io non sono contro il talento, il merito, la differenza, la capacità, la diversità. Detesto l'omologazione: sono semplicemente contro la proprietà privata dei mezzi di produzione. Ragiona con me: la Fiat che senso ha che sia degli Agnelli (e soci in capitale?) e non di chi ci lavora (compreso lo Stato che la finanzia?). Pensi che i talenti e la maestranze presenti (i salariati) non sarebbero capaci di costruire autovetture migliori?
"Pensi che i talenti e la maestranze presenti (i salariati) non sarebbero capaci di costruire autovetture migliori?"
Ero giovane (fine anni '70), ricordo le discussioni con chi si dichiarava comunista senza aver mai letto nulla di marx e ricordo che tra le tante questioni di cui si parlava, l'autogestione era abbastanza importante. Si parlava anche, ovviamente, della proprietà privata dei mezzi di produzione e dei suoi deleteri effetti.
A distanza di tanti anni, e mi pare di aver letto qualcosa in merito(ma non ricordo cosa, l'eta...), l'autogestione operaia della fabbrica(all'epoca si parlave della Jugoslavia) non mi pare abbia avuto un grande successo.
Se lo avesse avuto, non avresti potuto scrivere il post che hai scritto, perché esisterebbe il socialismo (non sovietico, sperabilmente) e tutti saremmo felici e contenti.
Esistono e con successo, le cooperative, ma sono tutt'altra cosa.
Quindi, a malinquore, rispondo di no, non credo che gli operai Fiat potrebbero fare meglio di Marchionne, perché non conosco esempi che abbiano avuto un successo duraturo, almeno quanto le imprese guidate dai manager.
Attualmente, mi risulta che qualcosa di simile a quel che tu invochi, stia avvenendo nei paesi latino-americani, ma sono i tempi lunghi che possono dar la misura della portata, del successo di simili esperimenti.
Intendiamoci, mi piacerebbe, da vecchio ex marxista, che ci fosse una possibilità, un modo diverso di produrre, ma ormai dopo tanti anni sono diventato scettico. :)
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