sabato 5 ottobre 2013

Descrizione della mia nebbia

Giovanni Giudici, O beatrice, Mondadori, Milano 1972
Prima giornata di autunno intenso, di quel nebbione che s'infila persino tra le mutande a inumidire il pelo ivi costretto. Vorrei parlare di sesso, ma parlare di sesso è noioso perché si raccontano sempre balle, mai si valicano i confini del proprio desiderio. Allora di cosa parlo, di politica? Più noioso che parlare di quella cosa che farebbe con essa rima se politica non fosse una parola sdrucciola, ma piana. Sono perso, non ho filosofie da spiegare, a meno che filosofia non sia stato quel leggero tirarsi su la maglietta tanto quanto basta da scoprire la pelle del tuo fianco sinistro. Chi è quel tu? Mistero fitto, più della nebbia, ma cazzo quanto avrei voluto, abbracciandoti, metterti la mano lì. Non potevo, sono cose che non si fanno e ti saresti più stupita di me, che stupido sono, se ci penso. Sicché ho preso l'auto, pioveva anche, ma ho regolato la velocità dei tergicristalli al minimo

così da avere l'impressione che le lacrime restassero all'esterno. Lacrime? No, magari fosse facile piangere a comando, fare uscire la nebbia che si ha dentro. Ciò nonostante ho detto lo stesso basta, «paghi chi deve, io chiedo scusa del disturbo», sono un superficiale, se penso oggi a Lizzani, come pensai ieri a Monicelli e ieri l'altro a Primo Levi (un abbraccio forte a tutti) oddio, no, ho le vertigini, esco restando dentro, muoio la mia vita in modo innaturale, succo di mirtillo e noce di burro buono alla mattina, ché vivere la morte mi fa venire il torcicollo. E se un giorno o l'altro torna il sole me lo prendo.

2 commenti:

Massimo ha detto...

Reduce da un fine settimana di virus influenzale intestinale, nella quale non ricordo nemmeno quello che ho fatto a parte vomitare e peggio, apprendo da te di Lizzani. Mi viene quello che a Milano chiamano magone, che è poi il sentimento che hai benissimo descritto in questo post.
Ciao

Luca Massaro ha detto...

ciao a te, e buona ripresa caro Massimo.