Se uno volesse riassumere sinteticamente cosa ha scritto oggi nel suo editoriale il professor Ernesto Galli Della Loggia, potrebbe sbrigarsela così: L'Italia è un irredimibile Paese di merda.
Secondo Ernesto Galli Della Loggia, infatti, «L'Italia sta precipitando nell'abisso», e questo non è dovuto soltanto crisi economica; le cause sono molteplici, ravvisa il professore, elencando sommariamente quelli che sono, a suo dire, i principali punti di crisi e tutte (o quasi tutte) «le incapacità e le debolezze», della società italiana. Si va dalla scuola alla magistratura, dalla burocrazia alla politica, dalla società civile persa dietro gli smartphone allo scollamento tra Nord e Sud del Paese. Queste e altre ancora le critiche sferzanti che il professor Ernesto Galli Della Loggia riserva al Paese. Quella che, tuttavia, mi ha impressionato di più, è le seguente:
«Una volta tanto, però, bisognerà pur parlare di che cosa è stato, e di che cosa è, il capitalismo italiano. Di coloro che negli ultimi vent’anni hanno avuto nelle proprie mani le sorti dell’industria e della finanza del Paese. Quale capacità imprenditoriale, che coraggio nell’innovare, che fiuto per gli investimenti, hanno in complesso mostrato di possedere? La risposta sta nel numero delle fabbriche comprate dagli stranieri, dei settori produttivi dai quali siamo stati virtualmente espulsi a opera della concorrenza internazionale, nel numero delle aziende pubbliche che i suddetti hanno acquistato dallo Stato, perlopiù a prezzo di saldo, e che sotto la loro illuminata guida hanno condotto al disastro. Naturalmente senza mai rimetterci un soldo del proprio. Né meglio si può dire delle banche: organismi che invece di essere un volano per l’economia nazionale si rivelano ogni giorno di più una palla al piede: troppo spesso territorio di caccia per dirigenti vegliardi, professionalmente incapaci, mai sazi di emolumenti vertiginosi, troppo spesso collusi con il sottobosco politico e pronti a dare quattrini solo agli amici degli amici.»
Oh, finalmente, qualcuno che, dai piani alti di via Solferino, tira qualche pelino del culo a quei rottinculo dei capitalisti nostrani i quali, oltre a fare ciò che sono obbligati a fare nella logica del sistema capitalistico, aggiungono alle pratiche legali garantite dalla Costituzione, anche pratiche antisociali che cozzano contro il secondo comma dell'articolo 41 della Costituzione (se il primo comma dichiara che «L'economia privata è libera», il secondo afferma che essa «Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.»), con la complicità della politica e, a volte, della magistratura, organi statali che, quasi sempre, dimenticano che esiste un terzo comma nello stesso articolo, che recita:
«La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.»
Fini sociali un cazzo.
Ma non divaghiamo, torniamo dentro la Loggia Dei Galli.
Mi piacerebbe, anzi no: non mi piacerebbe, non ho voglia captarlo benevolmente: rifaccio.
Vorrei sapere, insomma, se nella striminzita critica “morale” (quella costituzionale l'ho fatta io, per completezza), dell'imbelle (e vorace) capitalismo nostrano, il professore include anche i cosiddetti soci del Patto del Sindacato che posseggono quote considerevoli della proprietà del giornale dov'egli editorialeggia. Curiosità legittima, la mia, perché apprezzo molto coloro che hanno il coraggio di sputare nel piatto dove mangiano. Il companatico e la frutta.
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